Il Museo del gioiello, storia e incanto

Tra le volte restaurate del Palladio si snoda un percorso che sfrutta tutti i rosa del Tiepolo, portando rispetto all’architettura che lo ospita, con una femminile disposizione delle teche e un flusso unico di rari oggetti da affrontare a “cuor leggero”. In un iter personale che produrrà diversi racconti, perché non esiste «un’unica eccezione del gioiello».
Il senso intimo del primo Museo italiano del Gioiello, uno dei pochi al mondo, lo svelano due donne protagoniste: la direttrice Alba Cappellieri e Patricia Urquiola, progettista degli allestimenti. Inaugurato ieri, il Museo-progetto ideato dalla Fiera di Vicenza con il Comune berico, aprirà le porte al pubblico la vigilia di Natale. Collocata all’interno della Basilica Palladiana, la mostra si articola in nove sale a tema, secondo l’estro di 11 diversi curatori che hanno selezionato 400 gioielli. Ma, ogni due anni, la mostra si rinnoverà cambiando firme e selezione.
L’itinerario inizia con un pezzo unico voluto dalla stessa Cappellieri: una collana a ‘zip’ del 1939 capolavoro d’ingegneria e design, firmata dalla Duchessa di Windsor che fa perno su un elemento meccanico di derivazione militare. Questo il biglietto da visita di una mostra capace di declinare il gioiello in nove accezioni, per farlo diventare “simbolo” di uno status quale può essere una corona, ma anche scoprirsi “funzione” nel caso di un bottone o spilla per contenere essenze curative.
Incarnare la “magia” di un talismano, sciogliersi nella “bellezza” di un collier, diventare “scultura” e sposare infine la “moda” per gareggiare con il cugino povero che è il bijou, fino a sconfinare nel “design” e emergere come “icona”. Il gioiello a Vicenza parte dai micro-mosaici longobardi e arriva al “futuro”: nella nona sala Aldo Bakker disegna nuovi usi dei preziosi che diventano righe da distendere sulle rughe per cambiare l’elasticità della pelle ma anche collari dorati contro i dolori cervicali. Tra i pezzi da non perdere: la parure in corallo probabilmente appartenuta a Paolina Bonaparte, le spille di Renata Tebaldi, l’anello tirapugni di Karl Lagerfied per Chanel e il prototipo Givency disegnato per Audrey Hepburn per la famosa scena iniziale di Colazione da Tiffany con le spille di Elsa Schiapparelli. «Quattro anni di lavoro e progettazione per una sfida unica» suggella Corrado Facco, direttore della Fiera. «Questo il valore del sistema Vicenza» ha aggiunto il presidente Matteo Marzotto, sottolineando la necessità di «produrre sempre più contenuti internazionali per creare reputazione».
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