IL PERSONAGGIO / Capovilla, una vita per il teatro: "Padova mi fa sempre sognare"

A 88 anni torna in scena con tre commedie: la mattina passeggia in centro alla ricerca di ispirazione. "Le mie opere in dialetto hanno fatto il giro del mondo"
BARSOTTI - BRUNO CAPOVILLA
BARSOTTI - BRUNO CAPOVILLA

PADOVA. Compirà 88 anni il mese prossimo e la mattina è facile incontrarlo in centro, seduto al tavolo di un bar delle piazze a bere un caffè e leggere almeno tre quotidiani. E poi passeggia molto per tenersi in forma e, soprattutto, per trovare ispirazione per le sue opere teatrali. Bruno Capovilla non è un uomo che vive nel passato.

Ci racconta come ha iniziato?
«
Ancora? No, se n'è parlato già abbastanza. Parliamo piuttosto di ora, del mio teatro, delle nuove tre commedie».

Che cosa c'è nelle sue commedie?
«Porto in scena i fatti, la quotidianità. Per questo mi piace girare per la città: scovo situazioni e angoli nascosti che poi utilizzo nelle mie opere».

La scelta del dialetto padovano com'è nata?
« Un po' per seguire la tradizione, con il Ruzante e Goldoni innanzitutto. E poi perché il dialetto padovano è per me il più bello del Veneto. Così lo ingentilisco nei miei copioni e lo porto a teatro. Per il pubblico così è più facile immedesimarsi».

Le esperienze più intense?
«Le commedie, che scrivo ormai da cinquant'anni, hanno fatto con me il giro del mondo: Argentina, Brasile, Svizzera, Uruguay per citare alcuni Paesi. Ho portato la cultura veneta e il nostro dialetto in tutti questi luoghi, facendo ridere e commuovendo il pubblico di emigrati fino alle lacrime.

E qui in città?
«Nel 1987 ho ricevuto il sigillo della città, una grande onorificenza di cui sono molto orgoglioso».

C'è qualcosa che rimpiange?
«
Il tempo in cui recitavo con mia moglie Esterina (Francini, mancata nel 1997): oltre ad essere una compagna straordinaria è stata un pilastro del teatro popolare. Gli anni con lei sono stati il mio periodo d'oro.

Qual è stato l'aspetto più difficile?
«
I tanti sacrifici, soprattutto quelli economici. Mi sono dovuto arrangiare in tutto e per tutto, non ho mai avuto supporti finanziari. Ora per fortuna posso fare teatro solo per passione e non mi devo più preoccupare di questi aspetti».

Ora a cosa si dedica?
«Al teatro, che domande! Sono come Giovanna D'Arco: bruciato dalla passione. Ho una scuola di recitazione, nella Casetta Parco Piacentino, all'Arcella. Ed è proprio con i miei allievi che porto in scena tre nuove commedie».

Padova: quali sono i "suoi" luoghi?
«Quelli nei quali ho recitato più spesso, ossia il Teatro Verdi e il Supercinema di corso Emanuele Filiberto, chiuso ormai da tanti anni, che era davvero il "mio" teatro. E poi i tanti cantoni inesplorati: cortili, angoli reconditi che a volte neanche gli stessi padovani conoscono e che si scoprono solo camminando per le vie del centro».

Si sente amato dalla sua città?
«Sì e lo sento tramite il pubblico: i miei spettacoli fanno sempre il tutto esaurito. Ma sono più apprezzato fuori dal Veneto che qui. Ci sono molte compagnie teatrali che mettono in scena le mie commedie adattandole ai loro dialetti: in Sardegna e Trentino Alto Adige, in particolare. Nemo propheta in patria, ed io non faccio eccezione».

E lei come ricambia questo sentimento così contraddittorio nei confronti di Padova?
«Amo Padova in modo viscerale. Per questo appoggio in pieno l'iniziativa portata avanti dal Club, nato nel 1979, "Vecia Padova": far diventare la nostra città patrimonio dell’Unesco».

Da buon teatrante, è superstizioso?
«
Ovvio! Innanzitutto non voglio niente di colore viola in teatro e se per caso il copione cade dalla sedia bisogna girarla tre volte per scongiurare la sfortuna. E poi, l'ultima battuta della commedia: si pronuncia solo a fine spettacolo, con il pubblico davanti. Sì, sono decisamente superstizioso!».

Qual è il suo segreto per arrivare alla sua età in così grande forma?
«Non ho mai smesso di sognare. Quando un uomo non sogna più perde tutto: desideri e speranze».

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