Il ristoratore amato dai padovani
«Non avevo voglia di studiare. A 10 anni ero ragazzo di bottega alla Casa della Calza in via 8 Febbraio, ci restai fino a 15 anni», così raccontava Giovanni Parpaiola in un’intervista del 2007 al nostro giornale: aveva ottant’anni, e stava cominciando a pensare alla pensione.
«Mio padre Umberto aveva lavorato tutta la vita al vecchio hotel Storione e mia mamma Romilda aveva una mano miracolosa per la cucina. Avevamo un fazzoletto di terra, in via Maroncelli alla Stanga, e realizzammo lì la nostra osteria: Trattoria Nuova dalla Romilda, si chiamava». Era il 1951 quando nacque il locale, spunciòni, vino buono e campo di bocce. Poi fu ribattezzato “da Giovanni” e divenne uno dei migliori e più accoglienti ristoranti della città.
Giovanni era lui, Giovanni Parpaiola, che per quasi sessant’anni ha lavorato in quella trattoria: l’ha trasformata con l’energia di una sconfinata passione, l’ha fatta crescere attorno ai fantastici carrelli dei lessi e degli arrosti, ci ha vissuto con la moglie Lina (che è morta lo scorso anno), e via via, con i sette figli. Quattro dei quali, già da qualche anno, hanno preso il suo posto nella gestione, che è nata, è rimasta, e rimarrà, familiare.
Stava male da qualche anno, Giovanni, il signor Giovanni come lo chiamavano i clienti, con il suo sorriso aperto, contagioso e i grandi baffi: fino a 84 anni aveva continuato a star dietro al ristorante, poi aveva dovuto mollare. La malattia. Poi, qualche giorno fa, la fine. A veva 87 anni.
L’addio a un uomo che ha fatto parte della storia di Padova, «un’icona della cucina veneta», come l’ha definito Angelo Luni, segretario dell’Appe, è oggi pomeriggio alle 15.30 nella chiesa di San Pio X in via Grassi,a due passi dal ristorante.
Conosciutissimo, il signor Giovanni ha accompagnato i pranzi e le cene speciali di generazioni, ai suoi tavoli ha accolto la città oltre a tanti ospiti eccellenti, da Marcello Mastroianni a Nanni Moretti, Dalida, Dario Fo, Gino Cervi fino ad Oscar Luigi Scalfaro. Passando per il fu sindaco Ettore Bentsik, di cui Parpaiola fu amico: «Lo ricordo con affetto», raccontava nell’intervista al mattino «Quando decise di costruire il mattatoio in corso Australia lo sconsigliai perché avevo saputo dai Grosoli che il vento era cambiato». Aveva ragione il signor Giovanni, ma Bentsik non lo ascoltò.
La moglie Lina e sette figli, dei quali una è mancata: una famiglia grande, unita a maglie ancora più strette nella condivisione del lavoro al ristorante. «Una vita venduta»: così Parpaiola definì la sorte del ristoratore, con tante soddisfazioni, i clienti, gli amici, , gli apprezzamenti, ma senza più tempo per se stessi.
«Se mi guardo indietro» raccontava «mi accorgo che ho dedicato tanto tempo al lavoro e poco ai miei ragazzi che pure mi stavano attorno, ma indaffarati, come lo ero io. Eppure la nostra forza è sempre stata la famiglia».
E un po’ famiglia sua, che ora lo piange ricordandolo, è anche Padova, cresciuta insieme a quell’osteria fuori porta dove nei primi anni Cinquanta si radunavano operai, piccoli artigiani, il popolo messo in ginocchio dalla guerra. Arrivavano in bicicletta dal Portello, quartiere Borgese, Savonarola perchè lì c’erano le rane fritte, i folpi tagliati e conditi, la fetta di cotechino, le melanzane fritte. E il campo da bocce, i tavoli da briscola. E le chiacchiere di tutti con tutti, i racconti, le balle e le baruffe. Poi, un giorno, arrivano “i signori” da Padova, mangiano spunciòni di pesce e rimangono entusiasti . Torneranno, loro e tanti altri. L’osteria dalla Romilda diventa “da Giovanni” ed è l’inizio di una nuova storia. Che continua.
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