Il teatro di Irene Petris: da Ronconi a Giordana partendo da Venezia

VENEZIA. Tutta colpa di mamma Marina se Irene Petris, classe 1981, recita nella trilogia di Tom Stoppard, “The coast of Utopia”, realizzata da Marco Tullio Giordana e in scena questa sera al Teatro Argentina di Roma. Portare una bambina a teatro ha i suoi rischi. Il teatro è una cosa viva, con i tendoni rosso porpora che si aprono e si chiudono e personaggi bizzarri che escono ed entrano in scena. Qui l’imprevedibile è sempre in agguato, la suspense non lascia spazio alla noia. E poi ci sono le musiche. Quando hai nove anni e ti capita di vedere al Teatro La Fenice una donna con un luccicante abito di pailettes arancioni che intona “Summertime” il pasticcio è fatto.
«Da grande voglio fare teatro», scrive Irene nel primo tema alle elementari. Si comincia con il Coro Voci Bianche del Veneto per poi finire a 11 anni per la prima volta sul palco a cantare per la Turandot di Puccini: «Nell’opera il coro è quasi sempre in scena, ma quando uscivamo io e gli altri bambini andavamo di corsa nel loggione. Sapevo tutto a memoria e da lassù cantavo anch’io la melodia di “Vincerò”: indimenticabile!».
La passione di Irene per il teatro è cresciuta nel tempo, accompagnata da una voce difficile da dimenticare. È una voce, la sua, che parte dal diaframma, attraversa come un corto circuito tutto il corpo ed esce poi sotto forma di suono impeccabile. «La dizione è una questione di tecnica», spiega con umiltà, «non credo di essere particolarmente talentuosa».
Prima di decidere cosa fare della sua vita parte per un viaggio in India, arrivando fino alle vette dell’Himalaya. Le manca il teatro e torna. Frequenta la Paolo Grassi di Milano e si fa notare interpretando la cameriera Regina in Spettri di Henrik Ibsen, regia di Massimo Castri, ma è con Luca Ronconi che si spalanca il sipario.
L’occasione è un master a Gubbio, accessibile soltanto attraverso un provino. «È stato un momento bellissimo», ricorda Irene, un viso acqua e sapone con due grandi occhi da cerbiatta, «ero giovanissima e mi sono trovata davanti questo signore con la barba bianca che ascoltava in maniera radicale, attentissimo». Viene presa. Ronconi, a febbraio laurea honoris causa dallo Iuav, la sceglie per “Troilo e Cressidra”, “Lo specchio del diavolo” e “Odissea” di Bhoto Strauss.
La fatica viene premiata: nel 2010 vince il premio Eleonora Duse come migliore attrice emergente e, finalmente, si porta a casa un po’ di soldi.
«Fare teatro è una professione», sottolinea Irene, in prima linea nell’occupazione del Teatro Marinoni del Lido, gemellato con il Teatro Valle di Roma, «non significa che se faccio l’attrice non vado puntuale alla prove o lavoro quando voglio. I tagli sono stati un attacco frontale alla categoria. Mettere in difficoltà gli operatori dello spettacolo significa mettere in difficoltà la cultura».
Dopo il successo dell’opera di Alvis Hermanis con «Le signorine di Wilko», questa sera Petris andrà in scena nella in “The Coast of Utopia nelle vesti di Varenka Bakunin e Natasha Tuchkova, a fianco dell’anarchico Michael Bakunin e il filosofo Alexander Herzen. In scena anche l’inseparabile cane di Irene, Gabo, che in genere l’aspetta sempre in camerino, ma che si è guadagnato anche lui una parte.
«Mi trovavo a New York», racconta, «quando ho saputo che bisognava mandare un video con un monologo dell’opera. In Italiano non era ancora stato tradotto, ma lì è stato facile trovarlo. Appena ho iniziato a leggerlo ho pensato che si trattava di un testo magnifico».
Dopo qualche mese la telefonata. «Si sentiva da subito il livello altissimo degli attori», afferma Irene, in scena con Luca Lazzareschi e Luigi Diberti.
«Il lavoro è stato straordinario per questo abbiamo accettato di lavorare con il minimo sindacale, ovvero 65 euro lorde al giorno per una media di otto ore».
Per dieci anni Irene Petris ha abitato nel suo camper, evitando il problema trasloco e la questione casa. «Per me il problema è fermarmi, sono sempre in viaggio».
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