«Importante agire subito così si salva una vita»

«In caso di ictus il tempo d’intervento è tutto: non esistono miracoli, ma professionisti che aiutano i pazienti nel momento giusto». Con queste parole il dottor Claudio Baracchini, direttore dell’Unità operativa semplice “Stroke unit” dell’Azienda ospedaliera di Padova, commenta la ripresa di Sergio Giordani. Il candidato sindaco è stato colpito da un’ischemia cerebrale nella serata di giovedì scorso, al termine di una giornata di campagna elettorale. Ricoverato nella Stroke unit, Giordani è stato sottoposto a un trattamento di trombolisi eseguito dalla dottoressa Federica Viaro. Le sue condizioni sono in via di miglioramento. Ogni anno in Veneto si verificano 9 mila ictus e con l’invecchiamento della popolazione il numero di persone colpite è destinato ad aumentare. L’Ictus rappresenta la terza causa di morte e la prima causa di disabilità nella popolazione adulta: a un anno dall’evento il 30% circa dei pazienti è gravemente disabile. L’ischemia cerebrale si presenta quando un vaso sanguigno si ostruisce e di conseguenza un’area del cervello “si addormenta” perché l’apporto di sangue diminuisce.
Dottor Baracchini, perché l’intervento immediato può fare la differenza?
«Vale la regola: prima si fa, meglio è. La trombolisi deve essere conclusa entro quattro ore e mezza dall’evento, il trattamento endovascolare entro sei. Se il paziente arriva dopo sei ore, la situazione peggiora drasticamente. Il tempo è importante per diminuire i danni che l’ictus può arrecare al cervello»
Come si riconosce un attacco?
«È bene fissare nella mente l’immagine di una persona con la bocca storta, di una persona che non muove bene il braccio o la gamba e di una persona che ha un difetto di linguaggio. In ognuna di queste situazioni l’unica cosa da fare è chiamare il 118. In passato c’era chi, prima di rivolgersi ai soccorsi, si faceva il bagno, andava a dormire o aspettava l’arrivo del figlio. Fortunatamente il livello di consapevolezza è aumentato, a Padova il 70 per cento dei pazienti arriva a bordo di un ambulanza».
Chi è più a rischio?
«Le persone tra i 60 e i 70 anni che soffrono di ipertensione, diabete e hanno il colesterolo elevato. Contribuisce negativamente anche il fumo di sigaretta e il consumo di alcol. Un altro segno importante è la fibrillazione atriale».
Quali sono i trattamenti per l’ischemia?
«Da una parte c’è la terapia farmacologica chiamata trombolisi e dall’altra c’è il trattamento endovascolare che prevede la tromboaspirazione o la trombectomia. Se il farmaco non basta, si prova ad aspirare l’intero coagulo. Se neanche la tromboaspirazione è sufficiente, si cerca di rompere il trombo per poi aspirare i frammenti. Nel 30 - 40 per cento dei casi tutte queste tecniche non funzionano, allora si mette uno stant (una specie di gabbietta) per tenere l’arteria aperta».
Il centro per ictus quando nasce?
«In Azienda ospedaliera l’attività della Stroke unit è iniziata nel 2011. Essendo una struttura di terapia semi-intensiva, è stato scelto personale specializzato. Nel corso del tempo abbiamo acquisito la strumentazione necessaria e ci siamo stabilizzati nella palazzina della Neurochirurgia al terzo piano. Dal 2014 la Stroke unit è diventata un’unità operativa semplice dipartimentale, che quindi risponde al capo del Dipartimento di Neuroscienze ed organi di senso, il professor Alessandro Martini. Avere uno specifico centro per il trattamento degli ictus è importante perché il paziente è seguito da un team multidisciplinare».
Chi fa parte del vostro gruppo?
«La Stroke unit si basa sulle forze di due medici strutturati: il sottoscritto e la dottoressa Federica Viaro. Con noi collabora la dottoressa Silvia Favaretto, pagata a contratto. Attorno a questo centro ruotano anche i fisiatri e i fisioterapisti. La neuro-riabilitazione infatti inizia già dai primi giorni, anche se il paziente è allettato: non si muove semplicemente un arto, ma si insegna al paziente che il movimento nasce dal cervello. Abbiamo poi il neuropsicologo, il logopedista, il cardiologo, il diabetologo, il nefrologo e il pneumologo. Seguiamo circa 300 pazienti all’anno e eseguiamo 150 interventi tra trombolisi e trattamenti endovascolari».
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