«Io, infiltrato nella camorra per comprare cocaina e armi»

Marco. Suppergiù 40 anni. Professione, infiltrato. Carabiniere che da 20 anni vive di strada, tra night e appuntamenti in parcheggi, in compagnia di trafficanti, malavitosi, spacciatori, a seconda di dove lo porta il suo fiuto e di dove lo mandano i suoi capi. Mai fatto un giorno d'ufficio in vita sua. E' il migliore. Dove si infiltra, porta a casa risultati.
Un bel tipo, e parecchio bastardo, ché altrimenti questo lavoro mica lo potrebbe fare. E' stato lui che, per sei mesi tra il 2009 e il 2010, è diventato uno di loro. Uno della nuova mala del Veneto (18 arrestati tra cui Massimo Trosa, figlio di Salvatore, uno dei generali di Felice Maniero), banda che trafficava in coca e mitra kalashnikov e aveva un filo diretto con il clan dei Casalesi. E' stato grazie a Marco, che si è conquistato la loro fiducia, che si è finto spacciatore, che ha passato le serate in certi locali della Bassa a parlare di donne, macchine e droga e che da loro ha acquistato partite di coca, che i carabinieri del Nucleo investigativo di Padova hanno raccolto le prove per tagliare gambe e armi alla banda.
IL TRASFORMISTA. I trafficanti ora sono in carcere, qualcuno alla fine sospettava che tra di loro ci fosse un infiltrato ma non che fosse Marco: anche questa volta l'ha sfangata. Alla grande. Adesso si dedicherà ad altri giri, altre indagini, magari all'estero, poi riprenderà il suo tran tran. Chiamiamolo così. Fatto di sconfinata passione, istinto, un talento alla Zelig, overdosi quotidiane di adrenalina, paura e di una febbrile vocazione alla sfida.
Abita nel Padovano, Marco (va da sé, così non si chiama), in un appartamento, e in caserma ci va spesso ma velocemente, entrando e uscendo con un tot di accorgimenti per non essere visto. Ché in ballo c’è la pelle. Ogni suo passo deve essere autorizzato dai superiori di Padova e dalla Dcsa, direzione centrale antidroga di Roma, da cui dipende lo stanziamento delle spese (dalla Porsche a noleggio alle migliaia di euro per acquistare la roba e incastrare il grosso spacciatore).
Ha la barba, e non ce l'ha, ha i baffi, Marco. Ha i capelli lunghi e lisci; corti e riccioli; è pelato. E’ magro, ma in tre mesi può pesare 15 chili in più. Pare uno studente, quando serve; un italiano in Spagna (per inseguire un altro traffico di droga). O un grezzo pien de schèi in completo, occhiali da sole anche di notte, etti di gel in testa e Porsche sotto le chiappe. Se serve. Ed è servito.
Quando arriva lo spunto grosso e parte l’indagine, se c’è bisogno di un infiltrato per chiudere il conto con le prove, ecco Marco (non è l’unico, ma tra pochi). Con corsi e addestramento speciali alle spalle. E 20 anni di esperienza. E cattivo.
Subito il raccordo con il Dcsa di Roma, perché attorno a lui si faccia piazza pulita: nessun altro dell’antidroga deve muoversi in quell’area. Sempre da Roma provvedono a fornirgli nuova identità, se serve anche precedenti penali, se è il caso pure l’arresto e la permanenza in carcere. E i soldi per mantenere il tenore di vita dei grossi spacciatori, per affittare le auto, per il cellulare dedicato. Ogni volta richieste, continui rapporti passo dopo passo.
E’ marzo quando Marco arriva a una fase cruciale con la mala Veneta, l’acquisto di un etto di coca. Sono mesi che frequenta i night con quelli della banda (gente che si fuma 1000 euro a sera), che beve come una spugna ma sempre un po’ meno degli altri, che parla di auto e ascolta loro che commentano gli arresti letti sui giornali: tu lo conosci, io lo conosco, come si è fatto beccare e via. Che convive con il dubbio: mi credono o hanno mangiato la foglia? Sempre teso come un arco, pronto a qualsiasi imprevisto: metti solo che al ristorante, per quei casi della vita, incontri il compagno giuggiolone del liceo che ti dà una manata e coram populo ti dice: sei poi diventato carabiniere come volevi? E’ finita, probabilmente in tutti i sensi.
LA PAURA ADDOSSO. La paura gli è compagna. Anche se, in ogni movimento, Marco è coperto da un ombrello protettivo fatto di 4-5 colleghi, di volta in volta finti clienti o appostati in auto o chissà dove. Pronti a intervenire se le cose si mettono male.
Fin dall’inizio si è presentato come uno spacciatore che abita in altra regione e lì ha i suoi clienti: nessuno sa dove abiti ma manco lui sa o chiede dove abitano loro. Funziona così. Dopo un tot di telefonate, appuntamento in un parcheggio della Bassa alle nove di sera con uno della banda: un etto di cocaina a 2500 euro, l’accordo. Dalla direzione centrale di Roma di euro ne sono arrivati 1000, che Marco ha in tasca. Il tipo vuole vedere i soldi, Marco vuole prima vedere la coca. Ché l’ambientino pullula di “paccari”. Discussione.
COCAINA CON LO SCONTO. Poi spunta la mattonella di cocaina, 10x10, strano formato (poi si capirà: la misura giusta per foderare la barca con cui la droga veniva trasportata) e un forte profumo di mentolo. Non è buona, sì che lo è, no. Te ne dò 1000 di euro, o così o vado via, ma se va bene questa, te ne compero 5 chili a 60 mila al kg. Quell’altro si arrabbia, discute, alza la voce ma poi cede: ha fretta di fare cassa e disfarsi della roba. Il giorno dopo lo spacciatore telefona a Marco, vuole stringere i tempi per la vendita grossa, ma Marco lo stoppa: stai calmo, sto andando dai miei clienti, lo sai che sono in un’altra regione. Non mi tempestare, stai calmo, il business si fa.
Gli hanno creduto. E sono finiti tutti in carcere.
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