Islam, dialetto e cucina ecco la Babele di Sgarbi

Nomen omen. Una costruzione impossibile che finisce in un’incredibile confusione. È l’immagine della Torre di Babele ma anche del nuovo festival letterario firmato da Vittorio Sgarbi che mette insieme l’islam e il dialetto, la cucina e il cinema, la filosofia e l’editoria. Di tutto un po’ ma con grande libertà.
Babele infatti è il festival che «toglierà il burqa a Padova». Un modo per liberare la città dalla «cultura a senso unico e dal pensiero dominante» che caratterizza il mondo editoriale italiano. Spazio a tutti gli autori dunque dal 16 al 23 ottobre 2016 nella prima edizione del festiva, il cui logo è stato disegnato da uno dei maggiori designer italiani: Pierluigi Cerri. «Lo avevamo pensato per Milano – racconta Sgarbi – prima che la Moratti mi cacciasse per la mia mostra su arte e omosessualità. A Padova troverà casa».
La nuova Fiera. Dopo la “cacciata” della Fiera delle parole il critico d’arte si mantiene sempre sul filo della polemica: «Il mio sarà un festival senza Coscia che farà dialogare tutti. È più bello quando ci sono autori di diverso orientamento che si confrontano». Del resto, racconta Sgarbi: «Augias mi ha scritto, è indice che serve un dialogo tra le parti». E si mette a declamare ad alta voce “l’Amaca” che Michele Serra gli ha dedicato su Repubblica: «Faccio tante cose? Sì ma più ne faccio più mi vengono bene – replica – E Serra non dice che c’è un clima di intimidazione per gli intellettuali di destra». Non c’è solo a Padova, comunque: «Il Festival della letteratura di Mantova non è diverso: anche quello è contaminato dalle ideologie».
Sempre a proposito di polemiche, Sgarbi non si sottrae mai: «Il crocifisso nelle aule? Metterei il “Cristo morto” di Mantegna. Voglio vedere chi lo contesta – afferma – E i presepi non sono statuine: penso alla “Natività” di Caravaggio a Messina. È un messaggio universale».
L’islam a Padova. Veniamo al programma di «Babele». Si inizia, come promesso, dalla discussione sull’islam: «In una città leghista è una provocazione. Ma anche no – sottolinea Sgarbi – Anche perché il primo Corano in italiano fu stampato a Padova, alla biblioteca antoniana». L’idea è far parlare scrittori islamici che vivono in occidente. Chiedere loro cosa condividono e cosa no di quella cultura. I nomi? Asma Kouar («Pensare l’Islam»), Kamel Daoud (l’algerino autore de «Il caso Meursault»), Tahar Ben Jelloun («Il razzismo spiegato a mia figlia»), Amin Maalouf («Col fucile del console d’Inghilterra»), il giornalista iracheno Younis Tawfik, la blogger Amina, Hanif Kureishi («Il Budda delle periferie» e «My beautiful laundrette»).
Dialetto, arte e cucina. Ma il “calderone” di Sgarbi è ricco di idee. «Visto che la lobby di Repubblica ha imperato a Padova fino a oggi, vorrei chiamare chi su quel giornale ora non può scrivere più: Adriano Sofri», dice il critico d’arte. Ma poi ci sarà anche il tema del dialetto come lingua, con un omaggio a Giacomo Noventa e alla sua poesia d’amore in veneto. E come “patrono” Sgarbi vorrebbe Gian Antonio Cibotto. Un settore del festival sarà curato dal web-magazine di Luca Sommi «I fiori del male». Poi ci saranno una serie di piccole lezioni sulla storia dell’arte, in omaggio a Roberto Longhi. «Non mancherà un omaggio a Ettore Scola – prosegue Sgarbi – Ma occorre anche ricordare Guido Piovene. E in un festival di letteratura a Padova non potrà mancare un omaggio a Neri Pozza, il più complesso intellettuale veneto del Novecento». Infine: può esserci un festival senza ombre e bacari? «Avremo anche i cuochi e il mondo letterario che va in cucina», promette Sgarbi.
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