Kociss, l’ultimo bandito veneziano

VENEZIA. Era scappato dal riformatorio, dal collegio per minorenni, dai tribunali, da treni in corsa e, naturalmente, dal carcere: 17 evasioni - che ne avevano fatto la bestia nera di poliziotti e carabinieri - e decine e decine di furti e rapine, senza mai sparare un colpo. Fino a quando, 35 anni fa di questi giorni - alle 13.25 del 12 maggio 1978 - di colpi di pistola gliene spararono contro due i poliziotti della Questura di Venezia, quando se lo videro sfilare davanti in barchino in rio di Santi Giovanni e Paolo, in fuga da una rapina al Banco San Marco - 57 milioni di bottino - l’ennesima in una carriera della quale nessuno è riuscito a tenere la contabilità. Non una sparatoria, come si disse allora: lui, sì, tirò fuori la sua potente calibro 38, ma non premette il grilletto neppure quella volta. Quelle due pallottole che gli trafissero il fianco, uccidendolo a neppure trent’anni, trasformarono definitivamente Silvano Maistrello detto Kociss «forse nell’ultima leggenda prodotta da Venezia nel Novecento», come scrive Gianfranco Bettin nella prefazione del libro di Roberto Bianchin e Giovanni Dell’Olivo «Passione e morte dell’ultimo bandito veneziano», racconto in parole e canzoni (allegato al libro, anche un Cd) della vita e morte di Kociss. Kociss, soprannome che detestava, ma che gli era stato affibbiato - «Non si sa da chi», dicono gli autori - per la sua faccia da indiano: «Lui avrebbe preferito Robin Hood, perché gli piaceva aiutare i poveri. I deboli. Perché non voleva che soffrissero come aveva sofferto lui. La vita l’aveva imbevuto di violenza fin da piccolo. Maltrattato, picchiato dalla gente del sestiere, dai tutori, dalla polizia, ha restituito la violenza indietro al mondo che gliela aveva inculcata».
«Non vogliamo farne un mito, ma raccontare una storia interessante», osserva Roberto Bianchin, «di certo Silvano Maistrello rimante un ladro e un bandito, nulla lo assolve, ma a distanza di tempo, è l’ultimo esempio di una malavita romantica, l’ultimo a non aver mai sparato. A confronto con Felice Maniero, con la criminalità feroce che venne dopo, con gli assassini e la droga, Kociss era un vecchio bandito. Un ladrone iscritto al Pci - come abbiamo scoperto - e che nel 1967 si fece denunciare con il cantautore Alberto D’Amico per aver partecipato a una manifestazione contro la guerra in Vietnam. La sua storia ci ha permesso anche di raccontare una Venezia ben diversa da quella di oggi, attraversata da 22 milioni di turisti: una Venezia degli anni Cinquanta e del proletariato, uscita con le pezze al sedere dalla guerra, ma orgogliosa». Storia di Venezia e storia d’Italia, in una vita che ha intrecciato - in carcere - anche quella di Renato Curcio e Prospero Gallinari. «Contatti con brigatisti sono documentati», racconta ancora Bianchin, «ma in carcere, non è stato provato altro».
«Passione e morte dell’ultimo bandito veneziano» sarà presentato oggi, alle 17, al teatro La Fenice. Domenica 12 maggio, alle 18, alla Serra dei Giardini di Castello, nel giorno del 35° anniversario della sua morte, Bianchin e Dell’Olivo racconteranno “Le ultime ore di Kociss”, tra letture e canzoni. Gli introiti del libro sono devoluti alla coop “Il cerchio” che assiste i detenuti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova