La grande pittura del Settecento veneziano stimolata dalla committenza dei “nuovi nobili”

VENEZIA. Il secolo della decadenza politica, ma della supremazia artistica. È il Settecento veneziano con la sua straordinaria e multiforme stagione pittorica, e proprio questo è il tema del bel volume che Filippo Pedrocco, direttore del Museo di Ca’ Rezzonico e fine storico dell’arte del periodo, ha appena pubblicato per i tipi della Corbo e Fiore Editori, all’interno di una collana tematica dedicata al diciottesimo secolo della Serenissima, che ha già visto editi i volumi incentrati sulla Letteratura e la Politica e a cui seguiranno quelli su la Ceramica e il Teatro. La stagione felice della pittura veneziana del Settecento, che acquisisce subito - attraverso i suoi protagonisti - una dimensione europea si sviluppa, come suggerisce Pedrocco, con la fine della committenza pubblica, con le casse dello Stato ormai svuotate e la sostituzione ad essa di quella dei grandi ordini religiosi e dei cosiddetti “nuovi nobili” attenti a investire in quella che oggi definiremmo una politica di immagine per se stessi e le proprie fastose dimore, dai Labia ai Rezzonico, dai Widmann ai Giovanelli. Cresce, contemporaneamente anche la richieste di opere da cavalletto - soprattutto vedute - ed è su questo terreno fertile che si innesta un secolo di pittura veneziana ricchissimo e complesso che il testo di Pedrocco ricostruisce compiutamente in uno stile volutamente piano e discorsivo, perché tutti, e non solo gli addetti ai lavori, possano seguire questo racconto che oltre a restituire le dimensioni dei grandissimi, come Tiepolo, Canaletto, Guardi, Piazzetta, gli stessi Sebastiano Ricci e Rosalba Carriera, ci restituisce anche in profondità il “tessuto” dei cosiddetti minori dell’epoca, con le loro eccellenze e le loro complessità. Si parte con la stagione del Rococò e la centralità di Sebastiano Ricci che l’autore considera il vero e proprio padre della pittura veneziana, nel suo traghettarla, appunto, dal Barocco al Rococò, nella sua dimensione decorativa, influenzando così , tra gli, altri, Guardi e Tiepolo. L’altro “corno” del Rococò veneziano del periodo è appunto Rosalba Carriera, con l’inimitabile e luminoso colorismo a pastello della sua ritrattistica aristocratica. Ma il libro di Pedrocco ricostruisce l’influsso della pittura emiliana nell’avventura solitaria di Giambattista Piazzetta, con un chiaroscuro che, via via, si schiarisce e si arricchisce di forti contrasti luministici. E poi Giambattista Tiepolo, naturalmente, il più geniale artista del secolo veneziano nel fare della grande pittura decorativa una tendenza all’assoluto, riallacciandosi insieme alla lezione veronesiana cinquecentesca, e la galassia tiepolesca che lo circonderà, da Giambattista Pittoni a Gaspare Diziani, a Francesco Fontebasso. Ma il libro analizza, naturalmente, la pittura di paesaggio, il vedutismo (anche nei cosiddetti minori, se così può definirsi, ad esempio, un pittore straordinario come Michele Marieschi) con la punta estrema di Canaletto e poi di Bellotto, fino alla pittura di costume di Longhi, a quella satirica di Giandomenico Tiepolo, all’ultimo visionario del secolo, Francesco Guardi.
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