La sfida di Arturo Lorenzoni: «Voglio gestire un tempo nuovo»

PADOVA. Non poteva prevederlo quando il 19 dicembre, poco prima di Natale, da semplice prof del Bo, andò a una riunione in Sala Anziani per costruire una «Coalizione civica». Ma oggi Arturo Lorenzoni rappresenta una delle novità delle campagna elettorale. Un candidato sindaco che di suo ci mette la faccia (e il corpo, visto la fatica di una campagna elettorale lunga cinque mesi) ma con un programma scritto da 300 persone in 13 gruppi di lavoro.
Lorenzoni, alla fine di questo percorso cosa le rimarrà?
«La forza dei nostri ragazzi. La capacità e la creatività degli universitari. Sono la vera risorsa che abbiamo. E dobbiamo fare di tutto per trattenerli qui».
Nel suo viaggio attraverso Padova cosa ha trovato?
«Una città multistrato, con parti che però non dialogano tra loro. C’è una parte di Padova che soffre, e spesso la fa in silenzio. E c’è anche un’altra parte silenziosa che però è straordinariamente efficace. Guardiamo al tema dell’accoglienza: ci sono realtà che funzionano bene, senza clamore».
Non solo una città divisa, dunque.
«Nelle marginalità, nel sostegno alla disabilità, nel sociale, ci sono degli eroi. La vera forza di questa città sono le persone come suor Lia, don Albino, Tina Ceccarelli, o quelle che danno vita alla Caritas. Bisogna aiutarli a fare rete».
Si è detto che in questa campagna elettorale non si è parlato di futuro. Cosa risponde?
«Che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Abbiamo elaborato una visione di lungo termine della città, con proposte concrete e realizzabili. Basta leggere il programma».
Ma il punto nodale per lo sviluppo qual è?
«Le imprese della conoscenza sono il motore. Non possiamo pensare che a Padova basti il commercio o il turismo. C’è un settore dove si moltiplica per 10 mila l’investimento: lì dobbiamo essere».
E le grandi opere?
«Molti non hanno capito che oggi lo sviluppo lo fai con il software, non con l’hardware. In parole semplici: realizzare parcheggi in centro storico in questo momento storico è come installare cabine telefoniche all’inizio degli anni ’90, quando stanno per arrivare i cellulari».
Dunque che mobilità vede lei nel futuro?
«Pubblica, ecologica, innovativa. Noi siamo per le nuove linee di trasporto pubblico. Ma le garantisco che tra qualche anno quando io uscirò dalla redazione del mattino, chiamerò il car sharing con una app e la macchina mi porterà in centro. Da sola, mentre io controllo l’e-mail».
È il futuro, ma chissà quando.
«Nel giro del mandato di un sindaco».
Senta, le diranno che è un visionario.
«Sono loro che rappresentano un mondo che guarda indietro. Con rispetto, ma tutti i miei competitor mi sembrano inadeguati a gestire il tempo che verrà: quello dell’intelligenza artificiale. Sono gli stessi che probabilmente avrebbero dato del visionario anche a Mario Volpato».
Dicono anche che la sostiene tutto il mondo diuna cerca borghesia radical chic.
«Mi hanno accusato un po’ di tutto. Forse sarò un po’ radical, ma per nulla chic».
A proposito, con lei c’è l’estrema sinistra.
«Il meccanismo di partecipazione che abbiamo creato gestisce internamente le frange. Questo deve rassicurare la gente, non spaventarla. Vedo più difficile gestire le differenze in altre alleanze».
Cosa l’ha sorpreso di questa campagna?
«In positivo la capacità di suscitare entusiasmo. In negativo la resistenza ostinata di alcune parti della città al cambiamento».
Esistono i poteri forti?
«Non li chiamo poteri forti, ma interessi organizzati. Esistono eccome».
Un aggettivo per ognuno dei suoi competitor?
«Meridi una destra bonacciona. Sposato esuberante, Bordin vecchio stampo. Borile enigmatico, mi mancano dei tasselli per definirlo. Giordani è una persona pragmatica. Bitonci è un insicuro che reagisce in modo aggressivo alla sua insicurezza».
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