La vita di Nicolai raccontata da Lilin

PADOVA. Un’opera prima, “Educazione Siberiana” (2009), best seller a livello mondiale, una trasposizione cinematografica firmata dal premio Oscar Gabriele Salvatores, un romanzo all’anno fino al 2014, trasmissioni televisive per Mediaset e Dmax e un libro di memorie ad appena 35 anni. Una carriera che ha bruciato le tappe quella dello scrittore Nicolai Lilin, come ha bruciato le tappe la sua vita, raccontata dalle origini siberiane al presente tra Padova e Milano nell’autobiografia illustrata “Un tappeto di boschi selvaggi. Il mondo in un cuore siberiano”, fresco di stampa per Rizzoli. Ma cosa porta nel cuore oggi l’uomo di successo Lilin del bambino Nicolai cresciuto a Benderi, nell’attuale Transnistria?
«Mio nonno mi ha insegnato molte cose importanti della vita e quando gli chiedevo com’era essere vecchi, mi rispondeva che lui in fondo all’anima aveva sempre quattordici anni. Ed è così che mi sento io, mi porto dentro la curiosità del bambino Nicolai, che preservo dal successo che hanno le mie opere, lasciandole vivere una vita loro, lontana da me come persona.
Nel testo si attraversa la storia della Russia dagli anni ’80 fino ai giorni nostri. Quale punto di vista ha adottato?
«Ho voluto portare il lettore a conoscere il punto di vista di molte famiglie che si sono trovate la vita distrutta in nome di progetti speculativi ed economici di cui non sono mai state parte. Nel libro sono riportati episodi di vita quotidiana. Durante la guerra del 1992 avevo 12 anni e imbracciavo il fucile per aiutare i grandi che combattevano per le strade, raccoglievo le munizioni dai cadaveri, e se occorreva sparavo».
La storia del suo arrivo in Italia è quasi un aneddoto.
«Mia madre stava in Italia già dagli anni Novanta, io ho deciso di spostarmi in Europa nel 2005, per sposarmi con una ragazza irlandese. Mia madre però era contraria al matrimonio e pochi giorni prima delle nozze mi telefonò per dirmi che era malata di cancro e ormai allo stadio terminale. Io abbandonai la mia futura sposa e sono venuto a Torino, dove mia madre mi aspettava in ottima forma e dove sono rimasto per qualche anno prima di trasferirmi a Milano».
Il primo romanzo è diventato un film, lei pratica l’arte dei tatuaggi e la sua autobiografia è tanto illustrata quanto scritta. Quanto sono importanti le immagini per lei?
«Sono importanti quanto le parole se non di più. Per me l'immagine non è un decoro estetico ma uno scrigno di storie, misteri, magie. Il tatuaggio per esempio ha un profondo valore rituale, perché decodifica le parole in segni sulla pelle che nascondono messaggi segreti. Dietro ogni fotografia o disegno io cerco il simbolo celato, che mi aiuta a conoscere il mondo più di molte parole».
Qual è l'immagine che secondo lei meglio rappresenta il Veneto, ricordato alla fine del libro nel capitolo “Un posto mio”?
«Proprio l’altro giorno per arrivare a Monselice ho attraversato la bassa padovana immerso nella nebbia e scorgevo gli alberi quasi appoggiati al suolo, mi è parso per un momento di essere in T. ransnistria. Questa è l’immagine che per me rappresenta il Veneto, perché la nebbia mi fa sentire a casa, e nel Padovano mi rifugio spesso quando ho voglia di riposare, stare con gli amici e scrivere in tranquillità. Da un paio d’anni ho aperto a Solesino il Marchiaturificio un laboratorio di tatuaggio dove vengo a lavorare ogni tanto».
Perché ha sentito il bisogno di un’autobiografia a 35 anni?
« Più che un’autobiografia è la mia visione del mondo attraverso quello che mi è accaduto, come faccio in tutti i miei romanzi, dove “scrivo con il sangue”, ovvero parto dalla mia esperienza personale per poi approdare alla narrazione. Solo che in questo ultimo libro la realtà ha il sopravvento sulla finzione. Ho in cantiere due progetti per il prossimo anno, a febbraio uscirà il mio primo romanzo ambientato in Italia e anche in Veneto, ma per ora non posso dire di più, mentre a Natale 2016 arriveranno le “fiabe criminali” per grandi e bambini, ovvero le fiabe con cui sono cresciuto io, che poi sono quelle raccontate in Russia dai criminali ai propri figli».
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