L’abitazione dei Faccia alla seconda battuta d’asta

BAGNOLI. Tre anni dopo il fallimento dell’azienda di famiglia, la Unifast, la casa della titolare Alessandra Faccia finisce all’asta. Ma l’imprenditrice non ci sta e promette battaglia alle banche, ritenute responsabili del tracollo finanziario. «Nel 2008 avevo qualcosa come 9 milioni di euro nel portafoglio ordini» racconta «ma sono stata costretta al fallimento perché la banca mi ha chiuso un fido da due milioni di euro nell’arco di 24 ore. Sfido chiunque ad andare avanti in queste condizioni. Ho subito sporto denuncia per usura ed estorsione ma nemmeno questo è bastato a fermare il fallimento». La Unifast costruiva carri miscelatori per la zootecnia e ha conosciuto un periodo piuttosto fiorente. «Avevamo 60 dipendenti e davamo lavoro a 450 persone nell’indotto» ricorda la titolare, «gli ordini non mancavano. La crisi non l’abbiamo creata noi, ma il mondo finanziario che di punto in bianco ha chiuso tutti i fidi, prendendoci per il collo. A noi è capitato nell’autunno del 2008», aggiunge Alessandra Faccia: «un paio di mesi prima una banca ci aveva proposto di raddoppiare il fido, da 1 a 2 milioni di euro. Abbiamo speso 36 mila euro di confidi ma, un mese dopo l’erogazione, il fido è stato revocato di punto in bianco, senza tante spiegazioni». Alessandra Faccia ha avviato così una dura battaglia legale che però non le ha evitato il fallimento e, ora, la messa all’asta della sua abitazione di Agna. «Ho avviato cinque procedimenti per usura ed estorsione» aggiunge «e in questo caso dovrei essere tutelata dalla legge con la sospensione della procedura fallimentare. Invece la giustizia viaggia a due velocità: i fallimenti corrono mentre le nostre cause procedono a passo di lumaca. Così nell’arco di due settimane la mia casa finisce all’asta per la seconda volta». L’imprenditrice racconta che per scongiurare il fallimento nel 2009 i fornitori più importanti erano disposti a finanziare l’azienda con oltre venti macchine. «Dietro ad un fallimento ci sono solamente disastri, nessuno viene pagato e il capitale viene svenduto» conclude Alessandra, che si è affidata, per la tutela sotto l’aspetto finanziario, alla Confedercontribuenti. «L’imprenditrice ha diritto alla tutela» tuona il responsabile dell’associazione Alfredo Bellucco «è ora che la Procura la smetta di sonnecchiare. Alcune aziende sono riuscite a dimostrare i tassi da usura praticati dalle banche. Agli imprenditori che meditano il suicidio voglio dire che le banche non sono invincibili».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova