L’agente si è tolto la vita con tre tagli: due alla gola

Paolo Giordano ha tentato prima di tagliarsi le vene, poi ha reciso la carodite L’esito dell’autopsia eseguita ieri pomeriggio a Medicina legale
Di Enrico Ferro

Tre tagli con la lametta da barba per togliersi la vita: uno al polso e due alla gola. Al terzo tentativo Paolo Giordano, 40 anni, originario di Cassino, assistente della polizia penitenziaria, è riuscito a recidere la carotide. È l’esito dell’autopsia eseguita ieri pomeriggio sul corpo dell’agente che si è ucciso dopo essere rimasto invischiato nell’indagine sullo spaccio di droga all’interno del carcere Due Palazzi.

L’esame autoptico è stato eseguito dal dottor Massimo Puglisi a cui era stato affidato anche l’esame esterno il giorno del ritrovamento del cadavere. Con l’accertamento medico svolto ieri a Medicina legale sono emersi con chiarezza il taglio al polso e i due alla gola: l’ultimo è stato quello decisivo.

Paolo Giordano ha compiuto il tragico gesto sicuramente tra sera e notte. Domenica, infatti, non s’era visto in mensa. Ha saltato la cena ed è rimasto nel suo alloggio di servizio tormentato dai fantasmi che da più di un mese non gli davano tregua. La tragedia è maturata nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Mobile sugli affari sporchi all’interno del carcere.

Giordano era finito agli arresti domiciliari perché accusato di spacciare ai detenuti eroina e metadone. Sfruttando il suo ruolo di guardia riusciva a rifornirli anche di filmini pornografici, ovviamente dietro il pagamento di denaro.

Lunedì mattina era atteso nello studio dell’avvocato penalista Massimo Malipiero per il primo incontro in preparazione dell’interrogatorio del 21 agosto prossimo. Dopo quasi due ore di ritardo i colleghi hanno deciso di andare a controllare nel suo alloggio di servizio che si trova nel complesso del carcere. Il quarantenne di Cassino giaceva esanime in una pozza di sangue, ai piedi del letto. Evidentemente non ha retto alla pressione di un’inchiesta che lo vedeva fortemente coinvolto insieme ad altro cinque colleghi. Forse non ha retto neppure al peso delle difficoltà economiche. Oberato dai debiti, era anche rimasto senza stipendio perché momentaneamente sospeso dal servizio.

Prima di togliersi la vita ha scritto un biglietto alle persone care: la fidanzata, un amico e un collega: «Addio, perdonatemi. Mi dispiace di non avervi voluto bene. Ci incontreremo in un’altra vita». E poi: «Amore mio, mi dispiace tanto ma non ce la faccio. Sei tu l’amore più grande della mia vita».

Quello dell’agente della Penitenziaria è il secondo suicidio dall’apertura dell’inchiesta sullo spaccio in carcere. Il primo è stato il detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, leccese d’origine: si è tolto la vita in cella il 25 luglio scorso poche ore dopo essere stato interrogato dal pubblico ministero.

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