L'alchimista Kiefer unito all'accumulatore Vedova Una doppia nuova sfida

Dall’alto le opere di Vedova e quelle di Kiefer in mostra a Venezia
Dall’alto le opere di Vedova e quelle di Kiefer in mostra a Venezia
 
VENEZIA.
Anselm Kiefer l'alchimista e Emilio Vedova l'accumulatore. E' in fondo il concetto di stratificazione - della materia come della pittura - quello che lega due grandi artisti comunque diversi nella nuova "sfida" espositiva che la Fondazione Vedova, presieduta da Alfredo Bianchini, lancia in laguna dal primo giugno (e sino al 30 novembre) con la doppia mostra curata da Germano Celant che si è inaugurata ieri e che si annuncia già come un evento, al di là del «diluvio» biennalesco che ci attende. Da una parte, nel Magazzino del Sale delle Zattere esemplarmente restaurato da Renzo Piano, Salt of the earth, Il Sale della Terra, la superba installazione seriale che l'artista tedesco - ripensando anche, alla sua maniera, ai famosi «Covoni» di Monet, come ha dichiarato - ha concepito per questo spazio storico. Uno spazio che lo ha affascinato al punto di riprodurlo a scala naturale nel suo enorme studio di Roissy, nei pressi di Parigi.  Obiettivo: simulare la sequenza delle sue lastre di piombo "trasmutate", con zolfo, mercurio, sale.  Dall'altra, a poche decine di metri di distanza, nell'ex Studio del pittore veneziano, la riproposizione del ciclo ...in continuum, composto da 109 tele in bianco su nero e nero su bianco realizzate da Vedova tra il 1987 e il 1988 come una gigantesca installazione che invade lo spazio - come ricorda Celant - appunto in una libera e casuale stratificazione.  Come ogni "alchimista" che si rispetti a Kiefer - come ha ripetuto anche ieri, riallacciandosi all'ispirazione di Lorenzo Lotto proprio nei suoi interessi alchemici - «interessa la materia, non la pittura e il suo processo di trasformazione. Per questo l'alchimia è una disciplina moderna fin dai tempi antichi».  La grande installazione posta al centro del Magazzino del Sale è composta, appunto, di lastre di piombo su cui l'artista ha riprodotto sue fotografie di paesaggi marini ripresi dalla sua casa portoghese, e che ha sottoposto poi a un lungo processo di elettrolisi e di deformazione con l'uso del calore.  Corrodendo la materia, ma dandole, insieme una nuova vita (la purificazione alchemica). Rivestendola con una patina cangiante - dal verde al bianco, dal ruggine all'azzurro, al nero, ma le sfumature sono infinite - da cui emana una potenza materica e visiva straordinaria, accentuata dalla «costrizione» a cui il visitatore è sottoposto passando attraverso il labirinto delle lastre, a pochi centimetri dalla loro materia corrosa che ci spinge irresistibilmente a esplorarle con la mano.  Il trittico alchemico dell'artista - come lo ha definito Celant - è completato dalle fiamme della fornace alchemica Athanor e, in fondo allo spazio del Magazzino, da un gigantesco «telero» materico, con la sagoma di un sottomarino, che allude, ancora una volta, al tema del viaggio e dunque del mutamento.  Dall'altra parte, il continuum vedoviano che mantiene intatta la sua forza, nell'«aggressione» dello spazio di queste tele liberamente assemblate, nell'intreccio dei bianchi e dei neri che si alternano e si combattono sotto il segno dell'artista creando, anche visivamente, un senso di estensione che sembra non avere fine, come se il flusso della pittura fosse destinato a scorgare senza soste.  E' ormai evidente che la scelta espositiva compiuta dalla Fondazione Vedova - e fortemente voluta da Bianchini e Celant - è quella giusta. L'opera del grande artista veneziano può continuare a vibrare soprattutto se non la si «musealizza», ma se si continua a porla in un rapporto dialettico con altri artisti, che la affidano anche al contemporaneo.  Se poi il livello del confronto continuerà a essere quello garantito, come in questa occasione, da una mostra di grandissimo livello e "pensata" per Venezia come quella di Kiefer, il futuro della Fondazione Vedova si presenta ricco di promesse.

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