L’archeologo cuoco al rifugio
Per i suoi 34 anni si è regalato un sogno. E un mutuo. Lo ha firmato proprio il giorno del suo compleanno, due anni fa, per diventare il felice gestore del rifugio Alpe Madre, a Solagna, sugli spalti della Valsugana: uno scampolo di paradiso dal quale lo sguardo spazia da Bassano del Grappa ai Colli Euganei, dall’Altipiano di Asiago alle Vette Feltrine. Il posto ideale per mettere le radici dopo aver messo la sua laurea in archeologia al servizio di scavi emergenza in Sudan così come nel Parco Archeologico Didattico del Livelet (di cui è stato direttore scientifico per tre anni), dopo aver vissuto a lungo in Uganda e Rwanda, ma anche in Francia e in Svizzera dove si è dedicato, oltre che all’archeologia, al turismo responsabile nel quale è a tutt’oggi impegnato come guida naturalistica organizzando e accompagnando viaggi in Nepal e in Uganda. Dario Ferroni, nato e cresciuto in pianura (a Mirano), ma fatalmente attratto dalle vette alpine, ha lasciato i suoi scavi e i suoi viaggi per dedicarsi a un’accoglienza dal sapore semplice e antico, come la cucina del suo rifugio. “Ho lavorato in questa cucina già ai tempi dell’Università, quando preparavo la mia tesi sull’Altopiano di Asiago e il Monte Grappa. L’ho fatto, certo, perché desideravo non gravare troppo sulle tasche dei miei genitori… ma anche perché ho sempre amato cucinare e ho imparato molto presto a farlo” racconta “Poi due anni fa mi è stato offerto di gestire questo luogo che già tanto amavo e, sorprendendo il precedente gestore che mi aveva formulato la proposta quasi per gioco, ho raccolto la scommessa”. Così Dario ha messo da parte gli strumenti di scavo per armarsi di mestoli e coltelli, applicando spontaneamente alla cucina tutto quello che nella sua intensa vita di viaggiatore e studioso ha imparato. “Nel mio rifugio applico semplici regole: non si spreca nulla e si mangia quel che c’è. E quando è finito è finito, dal momento che ricorro a cibi congelati solo quanto è strettamente necessario. Quello che preparo per i miei ospiti è proprio così: è una cucina fatta di pochi ingredienti - tutti comperati qui intorno o nel mio orto - che ha sapori ben definiti e prima di preparati chimici o ornamenti inutili”. I vini sono biologici, come tutte le farine con le quali realizza personalmente il pane (in un normale forno orizzontale) e nell’orto vicino al rifugio coltiva tutto quello che i 1250 metri di quota permettono (cavoli, verze, finocchi, patate, aglio, cipolle, erbe aromatiche), senza l’uso di pesticidi ma difendendo le sue coltivazioni con i principi della lotta integrata e della biodinamica (“Non sono un integralista, ma ritengo che la biodinamica - che ho molto studiato in Svizzera - sia un esercizio che crea un bel legame con la terra”). All’Alpe Madre la cucina è l’offerta principale: si tratta infatti di un rifugio escursionistico in cui le camere sono poche e non molto frequentate, e dove la sosta - che Dario si premura spesso di arricchire con eventi musicali e spettacoli teatrali o di laboratori per bambini - è sempre più finalizzata ad un ristoro di qualità. Grazie a quella cucina che Ferroni definisce “senza potaci” e che la gestione familiare gli consente di offrire a prezzi “da rifugio” anche se la sua etica e la sua passione si concretizzano in piatti di qualità decisamente alta, anche per vegetariani. E in scelte oculate che non si esauriscono nella territorialità e nella stagionalità, ma che passano per l’uso di pochi detersivi ed il contenimento dell’uso dell’acqua, così come in retribuzioni adeguate e trasparenti per chi lavora con lui. “Anche se mi sono impegnato a gestire questo rifugio per altri 18 anni non ho intenzione, no, di stare in cucina tutta la vita - conclude Dario - ma dal momento che ci sono cerco di farlo nel migliore dei modi, nel rispetto assoluto della montagna che mi ospita”. www.alpemadre.it (m.g.)
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova