L’attacco della Cgil «Il project financing affare per i privati»
Dalla capitale non arriverà un centesimo. L’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto ha ammesso che sarà dura poter contare sul sostegno economico del governo per la realizzazione del nuovo ospedale. Il fondo destinato all’edilizia sanitaria è vuoto da anni e pare che Roma non abbia alcuna intenzione di rimpinguarlo. È stata sufficiente questa frase, pronunciata a bruciapelo a margine di un convegno organizzato dalla Cgil, per riaprire il dibattito su come finanziare il nuovo ospedale di Padova. Tutti sono d’accordo sul fatto che s’abbia da fare, ma chi paga? La giunta Zaia aveva proposto un “cinquanta e cinquanta” tra pubblico e privato: su 650 milioni di costo, metà a carico del privato, con lo strumento del project financing, l’altra del pubblico. Ora però, con il fondo per l’edilizia sanitaria ridotto a zero, molti hanno il timore che la bilancia si sposti troppo verso i privati.
La Cgil Veneto, da sempre contraria alla finanza di progetto (il privato investe per conto del pubblico che ripaga negli anni sotto forma di canone di concessione e appalto di servizi non sanitari) ha studiato lo stato dell’arte di questa forma di finanziamento nella sanità veneta. Il sindacato ha stilato un dossier dal quale la Regione Veneto esce con le ossa rotte: «A vedere i risultati», di legge nella relazione del dipartimento welfare Cgil, «soprattutto in sanità possiamo affermare che i privati hanno sfruttato l’utilizzo del progetto di finanza facendo grandi affari e assicurandosi rendite cospicue, per molti anni, scaricando sulla spesa pubblica e sulla collettività i costi». Sono quattro gli ospedali di ultima generazione costruiti in project: Asolo-Montebelluna (Usl 8), Santorso (Usl 4 Alto vicentino), Mestre (Usl 12), Schiavonia (Usl 17 Bassa padovana). La Cgil ha fatto i conti in tasca alla Regione. Ecco i risultati: l’ospedale dell’Usl 8, costato 147 milioni 328 mila euro, ha avuto un contributo privato di 91 milioni. La Regione ha sul groppone un canone annuo di 37 milioni 618 mila euro l’anno (da restituire in servizi)per 28 anni. A Vicenza l’intervento dei privati ha sfiorato quota 79 milioni, con un canone annuo (per 32 anni) di 30 milioni 472 mila euro. A Mestre l’intervento dei privati ha raggiunto la metà dell’investimento, 120 milioni su 254 totali. Nel veneziano il canone annuo ha raggiunto la cifra record di 54 milioni 677 mila euro per 30 anni. Nella Bassa invece la quota di investimento privata è stata di gran lunga ridotta: 64 milioni su 165, con un canone annuo di poco meno di 25 milioni. Dopo i numeri la Cgil elenca le criticità legate al project: «Clausole capestro per il pubblico e rendita assicurata per il privato. Il privato poi», si legge, «si fa prestare i soldi dalle banche e gli interessi li paga il pubblico. Il canone pesa sui bilanci e sottrae risorse al fondo per l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza». Questione economiche di ampio respiro a parte, la Cgil sottolinea che l’utilizzo “sportivo” del project pesa anche sulle tasche dei cittadini: «Gli ospedali sono costruiti in periferia e non sono serviti da trasporto pubblico di collegamento, i parcheggi invece sono a pagamento». «Per quanto ci riguarda», conclude il sindacato, «crediamo che l’intera questione non possa essere accettata come ineluttabile dato di fatto. Per questo come Cgil abbiamo più volte ribadito la nostra contrarietà all’utilizzo di questo strumento e riteniamo necessario avviare un confronto sulla sostenibilità di welfare veneto alla luce di quanto deciso in questi anni».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova