Le donne scambiate per il Diavolo

Un nodo crudele del passaggio dal mondo pagano a quello cristiano
Le streghe così come passano nell’immagine popolare
Le streghe così come passano nell’immagine popolare
La domanda è apparentemente semplice: possiamo credere che una decina di donne abbia volato sulla Val di Fiemme a cavallo di gatti neri, panche e per fortuna anche una scopa? No, non ci crediamo, ma non è facile liquidare tutto con un sorriso, perché le donne hanno confessato, perché molti hanno continuato a crederci per qualche secolo, perché quelle donne hanno un nome e cognome, perché sono state torturate, condannate a morte, giustiziate. Proprio perché le risposte in casi come questi non possono essere banali, Roberto Borin, giornalista e scrittore trevigiano, viaggiatore in luoghi dove il soprannaturale continua ad albergare, ha scritto Viaggi nei borghi delle streghe (Mursia, p.173, 14 euro), un libro che racconta la persecuzione contro le streghe, ma anche le tracce che permangono di questo passato. Sia ben chiaro, lo stile di Roberto Borin non è quello di Voyager, solo la voglia di capire, da storico sostanzialmente, quel che è potuto succedere a Cavalese, dove sarebbe avvenuta la cavalcata descritta all'inizio, ma anche a Benevento, a Bormio, a Villacidro, un paesino della Sardegna, e a Triora in Liguria. Sono tutti luoghi dove è rimasta memoria delle streghe e soprattutto dei loro processi. Luoghi dove il passato in qualche modo segna ancora dopo secoli la memoria degli abitanti, ma anche le case, i boschi, le pietre.  A Cavalese, da qualche anno, il processo che portò al rogo 18 streghe viene rappresentato; a Villacidro si tengono convegni; Triora si vanta di essere il paese delle streghe; i luoghi, insomma, si sono compenetrati nelle storie, per quanto tragiche, e Borin costruisce su questo legame il suo libro, che è insieme una ricostruzione storica, un invito al viaggio, un racconto.  Ed anche qualcosa in più, perché lo scrittore trevigiano è consapevole che nella cultura europea, la caccia alle streghe non è solo un problema giuridico. Rappresenta un nodo irrisolto del passaggio dal mondo pagano a quello cristiano. Perché nel mito delle streghe risulta evidente la sovrapposizione tra mondi culturali diversi. Da un lato le tradizioni pagane legate al culto della Dea madre, che pretendevano una sorta di comunione con quella che, per esempio, a Cavalese era chiamata la Donna del bon zogo. Dall'altra la tradizione cristiana che condanna ciò che non riesce a incorporare. Ed per questo che la figura femminile delle tradizioni precedenti si trasforma ad un certo punto nel Diavolo. Ma questo avviene tardi, tanto che nei processi di Cavalese le streghe parlano ancora della Donna, e solo sotto tortura la sostituiscono con Satana. Ed allora Roberto Borin si chiede perché proprio il Cinquecento ed i Seicento siano i secoli della persecuzione. Negli anni settanta, un grande studioso come il vicentino Giuseppe Faggin rispondeva che questo era dovuto all'insorgere di un disagio culturale che aveva creato un diffuso sentimento che lui chiamava «Horror diabolicus». Borin, seguendo studi più recenti, a partire da quelli di Carlo Ginzburg, va oltre, sottolineando come si non sia trattato di una esplosione di irrazionalità, ma anzi il fenomeno vada collocato all'interno del processo di razionalizzazione rinascimentale. Certo, poi in ogni storia - evidenzia il libro - contano anche le invidie locali, le paure incombenti di peste e carestia, i disagi sociali.  E tuttavia anche una volta chiariti i termini, rimane la domanda iniziale. Le streghe hanno confessato, ma cosa? Quello che volevano sentirsi dire gli inquisitori? Quello che loro credevano di avere vissuto? O forse quelli che erano racconti comuni, senza che le protagoniste stesse sapessero distinguere fra realtà e immaginazione. Qui la storia non ha risposte, e Borin si ferma, anche se, nella parte più narrativa del libro, quella in cui immagina le parole di vittime e carnefici, qualche idea la mette in campo.

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