Le metope di Canova gessi derelitti riemergono dall’oblìo

MILANO. Dopo molti anni, finalmente, si possono ammirare le sei - in origine: sette - metope originali in gesso per il Tempio di Possagno che Antonio Canova aveva eseguito poco prima di morire. L’occasione è di quelle importanti: vengono esposte ora alle Gallerie d’Italia di Piazza della Scala (fino al 6 gennaio 2014), per poi andare al Metropolitan Museum di New York; quindi, ritorneranno nel luogo per cui erano state destinate, le Gallerie dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel riallestimento tenacemente voluto, con fine acribia e certosino lavoro, da Matteo Ceriana, fino a pochi giorni fa Direttore delle medesime Gallerie (Canova e l’ultimo capolavoro. Le metope del Tempio, catalogo a cura dello stesso Ceriana, di Fernando Mazzocca e di Elena Catra, Silvana Editoriale).
All'inaugurazione, presente Giovanna Damiani, Soprintendente per il Polo museale di Venezia e dei paesi della Gronda lagunare, è stato ribadito dai curatori come queste bellissime metope siano state prodotte dal grande scultore in una periodo, l’autunno della propria vita, dove occupava un posto rilevante la religione. Mazzocca spiega in catalogo che bisogna risalire al 1813 allorché Canova ebbe l’idea di “celebrare con una statua colossale la restaurazione del potere temporale e la rivincita della religione cattolica…”.
La statua era quella della Religione cattolica, che sarebbe dovuta essere alta 8 metri e collocata in San Pietro. Ma il Capitolo di San Pietro rifiutò l'offerta, e analoga sorte accadde ad altri due luoghi designati dallo scultore, il Pantheon e Santa Maria degli Angeli; per cui di essa rimasero pochi modelli e una incisione. Perché? Quasi sicuramente agli alti prelati - e non solo - non convinceva questo cimentarsi con l’antico; il tentare di conciliare il Fidia dell’'Athena Parthenos - richiamata nella struttura della Religione cattolica - e dello Zeus di Olimpia con i canoni della cattolicità. Per dirla con Mazzocca, a preoccupare la curia sarà stato il "convincente rapporto iconografico e formale con i colossi di Fidia che proiettava quello moderno in una dimensione deista e senza tempo”.A questo punto - siamo nel 1818; Canova morirà nel 1822 - lo scultore ritiene di impiegare la somma ingente di denaro che voleva dedicare alla Religione cattolica alla realizzazione del celebre tempio di Possagno. Che sarà un inno ai due grandi monumenti della grecità e della romanità, il Partenone e il Pantheon. Del primo, in particolare, Canova riprende il pronao ad otto colonne, e la trabeazione con triglifi e metope; del secondo, lo spazio interno. Se tuttavia nelle metope ora al British - che il grande scultore conosceva molto bene - c’erano storie mitiche che narravano la vittoria della ragione sulla forza bruta come la Centauromachia o la Gigantomachia, in quelle di Canova non potevano che esserci l’Antico e il Nuovo Testamento. Ne realizza, tra 1821 e 1822, sette sulle trentadue previste. Le spedisce quindi al presidente dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, Leopoldo Cicognara, affinché venissero scolpite da scultori dell'Accademia. Mentre le metope, insieme ad un’altra trentina di gessi, anche di grandi dimensioni, resteranno per molta parte dell’Ottocento all'Accademia di Belle Arti come “suppellettile didattica” , successivamente cadranno nell'oblio - osserva Ceriana in catalogo - per un “progressivo disinteresse, convinto quando non addirittura astioso, verso i gessi”. Al punto che si perse la prima metopa (La creazione del mondo), “ormai introvabile, forse sottratta o più probabilmente abbandonata al dissolvimento”.
Sileno Salvagnini
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