“Le rançon de la gloire”, sentimenti intorno alla bara di Chaplin

Il 2 marzo 1978 due balordi trafugarono, in Svizzera, le spoglie di Charlie Chaplin, morto il giorno di Natale del ’77. Chiesero un riscatto di 600 mila dollari, ma vennero scoperti. Il caso non è isolato: a non riposare in pace sono stati in tanti, da Elvis Presley a Maria Callas, da Chaplin a Mike Bongiorno, da Enrico Cuccia a Juan Peron. Il regista francese Xavier Beauvois ha adattato per lo schermo, in “Le rançon de la gloire” (il prezzo della fama), una vicenda molto “chapliniana”. A cominciare dai protagonisti, due rifugiati politici che nel film diventano un belga e un algerino (Benoît Poelvoorde e Roschdy Zem) che sembrano usciti - come ricorderà l’avvocato difensore al processo - dalla “Febbre dell’oro”, o da un altro dei molti film, da “Luci della città” a “Il Circo”, citato nelle sequenze con Chiara Mastroianni. In effetti i due protagonisti, tra ingenuo e cialtrone, vivono ai margini della società come gli eroi di Chaplin, senza nemmeno un certificato di matrimonio che permetta alla moglie dell’algerino di essere operata all’anca, evitando di sborsare 51mila franchi. Di qui l’idea del furto: i Chaplin, nella realtà, pagarono le cure mediche, invitando di fatto la Corte a una sentenza magnanima. Eugene, figlio di Chaplin, ha seguito al Lido la delegazione del film: nel cast presente a
Chaplin, figlio oggi al Lido perchè è nel cast, insieme alla nipote: «Mia madre, dice, perdonò i rapitori, Uno dei due le mandò un mazzo di fiori».
In bilico tra commedia all’italiana e analisi storica, “Le rançon de la gloire” resta a metà del guado per ciò che concerne stile e struttura narrativa. Insistendo poco sulle gag e molto sui personaggi, Beauvois infatti affastella il racconto di sentimenti e di profili individuali, lasciando poco spazio alla commedia, senza virare nemmeno verso la satira di costume. Irrisolto. (mi.go.)
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