Le scarpe, il cammino dell’uomo Da Paolini alle vergini eremite

Una mostra dedicata alle scarpe fa immediatamente pensare alle tante shoes addicted e lega il nobile manufatto - la scarpa più antica data 3.500 a.C - oggi annoverato tra gli accessorizes, più al mondo della moda che a quello della storia. Il processo di spettacolarizzazione delle immagini ha trasformato l'oggetto in status, in simbolo. Lo sa bene la regista Julie Benarsa che nel suo docufilm “God save my shoes” l'anno scorso ci ha raccontato le morbose liaisons che legano star e vip al feticismo icononico ed erotico della scarpa. Il cinema non è immune da questo connubio che, nella maggior parte dei casi, declina feticisticamente nel binomio scarpa – morte. Basti pensare a “Tacchi a spillo” di Almodovar o a “La morte cammina con i tacchi alti” di Ercoli. Le favole ci riportano invece in una dimensione mitica: se Mercurio viaggiava con le sue scarpette alate alla protagonista del Mago di Oz basta sbattere i tacchi per volarsene via. C'è ovviamente un aspetto ideologico legato alla scarpa: ce lo ricorda il film “Scarpe grosse” ( e come suggerisce il proverbio: cervello fino) di Dino Falconi anche se l'icona per eccellenza dello scarpone rimane legata all'indimenticabile Chaplin che la scarpa addirittura se la mangia. Non è un caso e ce lo spiega bene Primo Levi: «Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare». E se per Savino le scarpe sono lo specchio dell'anima, per l'oralità “fra dire e il fare si consumano molte scarpe” e soprattutto attenti a chi vuol “farti le scarpe”. Senza citare i numerosi artisti che hanno trasposto su tela le scarpe, a partire dal 1400 con Domenico di Bartolo. A seguire Bosch, Bruegel il Vecchio, Van Gogh, Dalì. Insomma, le basi artistiche, psicologiche e sociologiche per parlare del significante scarpa ci sono tutte. Grazie ad Antonio Gregolin - eclettico uomo d'arte, di parola e di pensiero (potremo definirlo un creativo se la parola non fosse abusata) – ora c'è il presupposto per arrivare a un significato altro e alto della scarpa. Che al di là della moda e del glamour affonda le sue radici sentimentali nella terra ovvero nei luoghi fisici, ma anche emozionali e psichici, che le scarpe hanno segnato e percorso. Nella sala Sociale di Villaga, nel vicentino, fino ad oggi possiamo vedere “Terra nelle scarpe: il tempo delle scarpe” una mostra shoes in progress. Una mostra che camminerà da sola: i prossimi passi li farà infatti verso Padova, Belluno, Verona. Gregolin, nipote e figlio di ciabattini, ha subito il fascino della scarpa fin da piccolo. Deve averne respirato a fondo l'odore del cuoio, della para, della colla: «Fin da piccolo ho visto scarpe ovunque in casa. Scarpe da riparare, con suole aperte come bocche, cucite poi dalle mani artigiane di papà e nonno». L'idea non è quella di raccogliere soltanto le scarpe di personaggi famosi perché quella di Gregolin non è l'ennesima bulimia feticista. I personaggi noti ci sono, ovvio, ma le loro scarpe raccontano qualcosa di speciale come le scarpe di Zanardi il pilota segnato da un tragico incidente e che ora con le scarpe e con il camminare ha cambiato radicalmente il suo rapporto. Stanno per arrivare le scarpe di Olmi (cfr. L'albero degli zoccoli) e ci sono quelle di Moni Ovadia. Ci sono le scarpe del veronese David Larible, il clown più famoso del mondo. Stanno per arrivare quelle di Celentano e dell’astronauta Paolo Nespoli. In mostra ci sono le scarpe di un soldato austriaco conservate nel ghiaccio del Lagorai per quarant’anni e Gregolin ha bussato alla porta di monasteri e conventi dove ha scoperto “frati ciabattini”e monache di clausura “calzolaie”, ognuno con una tipologia di scarpe particolari. Alcune di queste oggi introvabili: «Scarpe che sanno ancora d’incenso, preghiera e umiltà. Ho trovato le babbucce in fili d’oro usate per la liturgia dai monaci armeni dell’isola si S.Lazzaro a Venezia. Ma anche i sandali di un moderno pellegrino di Santiago de Compostela». Ultima scoperta le pianelle usate da un ordine monastico francescano tra i più rigidi, quello delle Vergini Eremite Francescane. Scarpe mai uscite dal convento. E le ciabatte di Paolini: «Quelle che mette quando va nel campo, quelle con cui cammina sulla terra». Non ci saranno purtroppo quelle di Rigoni Stern, che sono state gettate via tutte.
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