Le tante paure in un libro di Tartaglia e Turolla
PADOVA. Ricordate il “ministro della paura” inventato da Antonio Albanese un paio di anni fa?
Beh, come spesso accade, coglieva, comicamente e tragicamente, una svolta in atto nella società, non solo quella italiana. Sempre più spesso infatti si parla di “società della paura”, anche un antropologo estremamente attento al contemporaneo come Marc Augè ha pubblicato in questi giorni un libretto sulle “nouvelles peurs”; la politica sempre più diventa – come intuiva Albanese – scontro tra paure. E dunque parlare della paura, ma soprattutto capire la paura diventa essenziale e prioritario. Lo provano a fare, in “Che paura” (Aracne, p.312, 15 euro), due studiosi padovani, lo psicanalista Alberto Turolla e il sociologo Filiberto Tartaglia, in un serrato dialogo improntato al confronto, non senza qualche punta garbatamente polemica. A cominciare dal che cosa sia la paura. «Per me – dice Filiberto Tartaglia – la paura è una passione, qualcosa che colpisce il soggetto dall’esterno, in questo seguo la lezione di Hobbes e di Cartesio». Turolla preferisce invece parlare di emozione. «In senso letterale – spiega – perché è qualcosa che ci costringe al movimento. Anche quando siamo pietrificati dalla paura qualcosa si muove, per esempio il nostro cuore accelera i battiti». Il libro , che verrà presentato dagli autori e da Ivo Rossi stasera alle 21 a Padova, alla Sala Rossini del Pedrocchi, tratta di paure diverse. «Affrontiamo – dice Filiberto Tartaglia – tre pacchetti di paure. Il primo riguarda le paure escatologiche: la morte, la malattia, Dio. È interessante vedere per esempio quante parole che esprimono timore ci siano nella Bibbia». Già la morte, la paura della morte, ma Turolla non è del tutto d’accordo. «La paura – dice – è sempre paura della vita, sono le religioni che hanno l’hanno trasformata in paura dela morte. Come sapevano i filosofi antichi la morte non può fare paura perché quando c’è lei non si siamo noi e viceversa». Ma accanto a queste paure quasi antropologiche ci sono quelle intime, individuali, il secondo pacchetto, per dirla con Tartaglia. E quindi la paura della solitudine, del successo, delle donne, di cui il femminicidio è un segno evidente. E c’è un altro problema, il trasformarsi della paura in angoscia. «La paura – dice Turolla – ha sempre un oggetto, l’angoscia invece no e quindi non permette una difesa». E si arriva così all’ultimo pacchetto, quello che riguarda lo sfruttamento politico della paura. «Ho parlato di economia politica della paura – dice Tartaglia – che si rovescia oggi in paura della economia. Le ricerche dicono che oggi la paura per l’economia ha scalzato la paura per lo straniero. Aumenta una, diminuisce l’altra. Anche su questo c’è da riflettere».
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