Léontine modella moglie musa Tra l’ “italien” e la parigina un immediato amore esclusivo

Questi due grandi pastelli, la Giornata d'inverno del 1882 e l' Autoritratto del 1884, l'unico che conosciamo dell'artista la cui fisionomia è altrimenti nota attraverso una serie di fotografie, ci restituiscono verso la fine di una esistenza vissuta intensamente, ma troppo breve - De Nittis muore improvvisamente nello stesso 1884 a soli trentotto anni - , un'immagine fortemente interiorizzata del pittore e della moglie Léontine Lucille Gruvelle, che lui chiamava Titine o anche, italianizzando, Titina. Giuseppe era stato sempre per tutti, familiari e amici, Peppino. E così firmava la sua corrispondenza.
Si tratta di due opere eseguite per sé. Lei le conserverà gelosamente per poi donarle, insieme alle altre, in tutto 127 tra dipinti ad olio, pastelli, acquerelli su seta e su carta - senza contrare le 97 prove grafiche - che erano rimasti nell’atelier, alla città di Barletta. Vi giunsero dopo la sua morte nel 1913.
Giornata d'inverno è un capolavoro che conferma a quali straordinari e originali esiti De Nittis sia arrivato nella tecnica del pastello dove riesce ad eguagliare Degas o Boldini. È il più bello dei molti ritratti che ci sono rimasti di Léontine. Il fatto che lui l'abbia raffigurata tante volte, in diversi contesti e situazioni come quando pur avendo paura dell'acqua posò per lui in barca, dimostra la profondità del loro legame. Questo fu tale che, dopo la morte del marito, assecondando le proprie predisposizione letterarie pubblicò nel 1895 a Parigi le “Notes et souvenirs du peintre Joseph de Nittis” dove erano riuniti dei testi già usciti in quattro puntate, nel 1894, nella "Nouvelle Revue". Non è stato ancora possibile accertare quanto e come abbia elaborato i ricordi, gli appunti biografici lasciati da Peppino. È sorto anche il sospetto che, addirittura, abbia lei stessa inventato una autobiografia del consorte. Rimane il fatto che quelle pagine, ripubblicate molte volte in italiano come il Taccuino 1870/1884, che corrispondono agli anni della sua vita a Parigi, si facciano «leggere», per la loro vivacità, «come un romanzo. (...)
In questa ancora misteriosa autobiografia a due il loro veniva ricordato come un rapporto - si erano sposati subito dopo essersi conosciuti il 29 aprile 1869 quando lei aveva ventisei anni e lui tre di meno - davvero esclusivo e felice: «Per noi ogni cosa era perfetta e ci riempiva di gioia. Eravamo due ragazzi senza esperienza. Ci eravamo capiti sin dal primo incontro. Mia moglie, malgrado la sua aria quieta, era dotata di molta immaginazione e io, da parte mia, non ho mai avuto abitudini di vita convenzionali. Così ho sviluppato in mia moglie, a nostra stessa insaputa, l'indifferenza per le forme esteriori, e, uniti, abbiamo proceduto nel nostro sogno. E mi è piaciuto che il suo ideale si limitasse a me, come il mio alla pittura. Ella ha conosciuto poco la pittura degli altri, solo molto raramente ha visto le esposizioni del Salon e visitato ateliers. Io l'ho tenuta tutta per me; il mio amore è geloso. Però ho anche fatto in modo di essere tutto per lei.Ora che provo a tirare le somme e mi domando se ho fatto bene, rispondo di sì. Gli altri l'avranno conosciuta poco… forse, anche male. Ma non si può avere tutto. Per lei come per me, la natura parlava lo stesso linguaggio. Ella mi è stata compagna, amica, modella e moglie.Ha sempre parlato poco in presenza di altri. Quando abbiamo avuto ospiti, non credo abbia mai avuto il bisogno di esibirsi. Penso che sia stata interamente soddisfatta del suo posto nella mia vita. E se ho preteso che per lei non esistesse nulla all'infuori di me, credo comunque di averla resa felice». (...)
Titine fu la moglie fragile e devota, quasi idealizzata nell' autobiografia dell'artista da lei stessa rielaborata, o la donna possessiva che appare nel Journal di Goncourt, o l'abile amministatrice dei guadagni e della celebrità del marito cui accennò l'amico Degas in una lettera scritta a Ludovic Halévy, subito dopo la morte del marito: «Elle avait bien aimé son mari, mais en avait fait son affaire». Del resto fu lei soprattutto a gestire il difficile rapporto con il mercante Goupil con cui i De Nittis avevano contratto un debito tanto alto che Léontine non riusciva ad estinguere ancora a sei anni dalla scomparsa di Peppino. Certamente la fortuna dei sabati a casa De Nittis, frequentati da un numero straordinario di celebrità, si deve anche alla sua abilità di padrona di casa, alla sua capacità di assecondare le ambizioni del marito, sempre preoccupato di dover “plaire à tout le monde”. È con infinito affetto che De Nittis ritrae infinite volte Titine sospesa nella sua attitudine malinconica come in Giornata d'inverno, definita da Edmond de Goncourt “la plus extraordinaire symphonie de blancheur”, dove, con un motivo che ci ricorda la Sinfonia in bianco di Whistler,
I due ritratti ci appassionano e ci coinvolgono, oltre che per le modulazioni con cui ha saputo stendere il pastello, per l'affondo psicologico sui due volti pensosi, entrambi spostati verso destra per aprire la visuale. Nell’uno oltre la finestra, verso il giardino innevato della Villa di rue Viète. Nell'altro verso la fuga prospettica di due stanze. In questa vasta casa, nell'elegante quartiere Monceau, poterono essere organizzate con maggior impegno e successo quelle serate mondane che già avevano avuto luogo nella precedente residenza di Avenue du Bois de Boulogne.
* Curatore della mostra con Emanuela Angiuli
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