L’ex presidente del Tribunale del Riesame: «Fate pagare i ritardi ai giudici»

Pietrogrande: «Problemi cronici negli organici, ma manca anche la volontà di ridurre i tempi. Se a pagare per i ritardi fossero i giudici, le pendenze si annullerebbero» 

PADOVA. «Nessuno verifica i tempi della giustizia, molti giudici non avendo alcun controllo discutono prima le cause più facili e lasciano ferme quelle più complicate visto che il loro lavoro è valutato a seconda del numero di quelle evase». Gian Maria Pietrogrande, padovano è attualmente presidente della Commissione Tributaria di Vicenza, è stato per sei anni presidente del Tribunale del Riesame di Venezia, è stato giudice della Corte d’Assise d’Appello di Venezia, Gip a Padova, giudice a Rovigo e Bolzano e sostituto procuratore a Brescia. È in pensione dal 2016 ma un’idea, molto precisa, sui mali della giustizia se l’è fatta.

Perché i tempi della giustizia civile, a Padova e in Veneto, possono allungarsi fino a decenni?

«C’è un problema legato alla carenza di organico degli Uffici Giudiziari ed è abbastanza cronico. Nel rapporto tra persone amministrate e giudici, Brescia e Venezia sono fanalini di coda. In Sicilia ci sono il doppio dei giudici rispetto alla media e Bolzano, dove ho lavorato, ha il doppio dei giudici rispetto alle singole province venete. Degli squilibri di personale che sono noti».

E in merito «all’omesso controllo» può essere più esaustivo?

«Esistono delle direttive sul controllo dei tempi. Ma tutto dipende dal capo dell’Ufficio, dal giudice responsabile. Che però non risponde dell’operato dei giudici. I capi degli Uffici non vengono mai sanzionati. Inoltre fissano loro gli obiettivi da raggiungere e quindi non è difficile che ciò che si prefiggono venga raggiunto. Inutile dire che in una azienda privata non è così».

Qual è la soluzione secondo lei, che ha vissuto per decenni tra le toghe?

«La durata ragionevole del processo civile in primo grado è di tre anni, visto che quando si protrae maggiormente c’è l’equo indennizzo, previsto dalla Legge Pinto in merito alla quale lo Stato deve risarcire già un miliardo di euro. Lo Stato deve pagare i risarcimenti. Ma se li facesse pagare ai giudici, questi ritardi sparirebbero. Perché pagare per i ritardi e non avvalersi sui giudici che li causano? L’arretrato, come dimostrano i dati dei fascicoli pendenti a Padova, ce li abbiamo solo in Italia. Per questo in Europa ci considerano degli africani. Quando ero in servizio a Bolzano, dove non c’erano arretrati, il presidente della Corte d’Appello ci riunì, dicendo che le cose andavano male. Risposi che non mi pareva affatto, visto che in Corte d’Appello a Venezia c’era un tempo di 5 anni per smaltire le cause in arrivo e noi le smaltivamo in meno di uno. Mi rispose che non gli interessava Venezia ma Innsbruck dove si andava a sentenza entro i 6 mesi. Ho lavorato 8 anni a Venezia, fino a 10 anni fa, e nessun presidente ha mai pronunciato parole simili. Finché nessuno se ne occupa, il ritardo ci sarà».

Lei prima di entrare in magistratura ha lavorato nel settore privato, che differenza c’è?

«Entrando nella pubblica amministrazione ipotizzavo che chi è bravo non venisse premiato. Ma è peggio. Ho constatato che chi lavora di più viene punito. Fa sfigurare i colleghi e viene censurato».

Nella sua carriera ha mai cercato di andare controcorrente e di proporre qualcosa di concreto per cambiare la situazione?

«Quando ero giudice in Corte d’Appello a Venezia c’erano molti processi che si prescrivevano. Ogni giudice ne discuteva in media 12 a udienza. Proposi di farne 15. La risposta fu “se facciamo così risulta che tu hai firmato molte più sentenza dei colleghi e li metteresti in cattiva luce. Potresti, per questo essere scelto a ruoli dirigenziali e noi non potremo più scegliere liberamente” e quindi la risposta fu no. La situazione doveva rimanere quella».

Quindi c’è una bella differenza tra privato e pubblico.

«Se l’azienda dove lavori va male, ma il proprietario o il tuo responsabile ti dice, che è lo stesso e ti fa capire di continuare a lavorare, a produrre come al solito è ovvio che il lavoratore continuerà a fare quello che già fa. Ossia poco. Se l’Italia non cresce è perché non c’è meritocrazia. Nel mio piccolo nella Commissione tributaria vicentina non c’è arretrato, cerco di responsabilizzare gli uffici e gratificare per quanto posso i magistrati». Una ricetta semplice che andrebbe esportata. 
 

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