L’inquisizione di ieri e di oggi

Secoli di caccia all’eretico e alle streghe il Cinque e Seicento. Secoli della Controriforma come la chiamarono i protestanti o della Riforma cattolica come si difesero i fedeli alla Chiesa romana. Bastava essere devoti e ossequienti alle leggi e regole che quella impartiva, come unica detentrice della verità (anzi la Verità). E se qualcuno non era d’accordo e era così maldestro di andarlo a dire in giro ecco pronto il tribunale dell’Inquisizione che ti dava la possibilità di abiurare e rientrare nella comunità oppure, visto che eri “eretico hostinatissimo” ti mandava sul rogo.
E “Roghi” è il titolo dell’ultimo splendido libro del trevigiano Franco Zizola edito per i tipi della editrice veneziana Lunargento. Zizola prende le mosse dal destino toccato al grande Giordano Bruno, campano di Nola, frate domenicano sui generis perché alle verità della Chiesa e a quelle imposte dagli Scolastici non poteva né credere né tanto meno obbedire. Così visse ramingo per l’Europa fino ad approdare in quell’isola felice che appariva la Repubblica veneta chiamato dal patrizio Giovanni Mocenigo. E da qui finire, poi, nelle grinfie dell'inquisizione romana. Con tutto quel che ne è seguito.
Non solo Giordano Bruno, molti altri sono stati gli spiriti liberi che hanno voluto vivere la loro ricerca della verità. Che non coincideva con quella del clero. Uomini di cultura come lo spagnolo Michele Serveto, antitrinitario e per questo bruciato da Giovanni Calvino; come l’altro nolano, Pomponio de Algerio, anche lui finito al rogo a Roma nel 1556; ma tra gli spiriti liberi si trovavano anche poveri artigiani che non si rassegnavano a dire di sì soltanto per comodità. È il caso del mugnaio Menocchio di Montereale Cellina in provincia di Pordenone, anche lui al rogo. E ancora il lucernaio di Spresiano Giulio Gherlandi affogato in laguna perché eretico seguace delle dottrine degli utraquisti boemi.
Roghi e roghi nel corso della storia per cancellare i dissidenti. Ma anche a Treviso i “diversi” non erano graditi pur sfoderando la città del Sile una patina di tolleranza: a farne le spese erano povere donne, spesso affamate, accusate di stregoneria e cacciate a frustate dalla città.
Zizola conduce il lettore con la sua prosa ironica, bella da leggere perché lui è uno dei migliori conoscitori veneti della lingua di Dante, lungo gli anni della ferocia inquisitoriale. La ricerca della verità - dice l'autore - è lunga e faticosa e la tua intelligenza ti porta sempre alla solitudine. “Roghi” non è, però, un libro che si rivolge soltanto al passato, perché la guerra ai dissidenti è comune ad ogni epoca. Oggi non si finisce sul rogo, ma si è emarginati. Ma il rogo non cancella tutto, distrugge i corpi, non il pensiero del martire. Perché martiri devono essere considerati quegli infelici che hanno dato la vita per le loro idee. E lungo sarebbe il martirologio degli eretici che non si sono sottomessi. Il libro di Zizola ce li ricorda. Uomini grandi, che la storia sfiora appena. Come Giulio Cesare Vanini, come Bernardino Ochino che abbandonò l’ordine monastico di cui era il superiore generale in Italia per abbracciare il protestantesimo. Vite dedicate alla verità o, almeno, alla sua ricerca.
Lo scrittore trevigiano ce li rammenta in un’epoca in cui la religione sembra aver poca fortuna, ma altri “idola” di baconiana memoria si sono imposti: il capitalismo, il dogmatismo ideologico materialista. Che non usano sistemi molto meno drastici dell’inquisizione. Ma questo è il destino di chi non si sottomette al giogo e all’opinione comune. Socrate e Gesù Cristo ne sono testimoni e martiri.
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