L'ITALIA SUL LETTINO / Marinella, identità italiana fatta di valori

Napoli tra vita e morte: la festa per il centenario della grande azienda di cravatte e il funerale del tifoso morto negli scontri a Roma

PADOVA. Ci sono occasioni nella storia delle persone in cui gli eventi collettivi sono risposte affettive alle caratteristiche di un uomo, così che la sua identità diventa simbolo. Così è stato il 26 giugno scorso al Teatro San Carlo di Napoli per Maurizio Marinella, il re delle cravatte nel mondo. C’era la festa per il centenario, storia aziendale che parte da don Eugenio nel 1914 in piazza Vittoria e arriva al nipote Maurizio Marinella nel 2014, al negozio sempre in piazza Vittoria. Un uomo, un imprenditore di successo Marinella, partenopeo fino all’osso, ma cosmopolita. Amato dai grandi: da Clinton al Principe Carlo, da Napolitano a Berlusconi fino all'umile napoletano o uomo di buon gusto che gira per il mondo. La celebrazione ha tinto del blu Marinella le mura splendide del Palazzo Reale di Napoli fino al palco del San Carlo, ma la riflessione non è tanto per la bravura e l’intelligenza di un imprenditore, quanto per quelle infinite differenze tra un imprenditore e un uomo che per le sue caratteristiche, non solo imprenditoriali ma interiori, incarna un’italianità difficile da trovare perché carica di quei legami solidi fatti di lealtà, coerenza, amore per la famiglia, umiltà e generosità. Maurizio Marinella poteva essere celebrato ovunque.

Ha sposato Napoli, le sue radici, ha persino messo in ordine a proprie spese i giardini trascurati di Palazzo Reale, messo in funzione tutti gli orologi antichi del palazzo, ha lasciato intatti la propria fede e il proprio marchio, con la stessa tenda blu, nello stesso negozio di 15 metri quadri, intatta la poltroncina verde dove sedeva il padre. Napoli, una città priva da sempre di quella consapevolezza profonda che fa delle sue vie, dal quartiere sanità alla più blasonata via Caracciolo, un luogo complesso. Rimane anche l’amore, che in giro per l’Italia non c’è più.

La festa di Marinella si incrocia con la salma di Ciro Esposito, altra storia di morte. La dedica che l’eccellenza fa al suo mondo tragico viene dal Teatro San Carlo che veglia simbolicamente questo ragazzo dentro l’altra inequivocabile complessità delle passioni. Una cravatta può rendere unito il mondo, piacerebbe crederlo, ma in ogni caso rimane un’icona della maschilità che sarebbe ora di rivendicare, difendere, celebrare, soprattutto per contrastare la maschilità negativa che può diventare patologia, contraddizione. Un intreccio non risolto che fa degli uomini cacciatori di prede, vendicatori paradossali di un narcisismo inutile. Indossare la cravatta è un'idea tutto sommato democratica, una coraggiosa affermazione della propria identità, di quel linguaggio intrepido, magico che ha la comunicazione non verbale, il messaggio del colore, quello della forma, quel nodo stretto delle nostre origini, quel bisogno di recuperare un’integrità dell’onestà e della verità in un momento così oscuro dove si baratta la cravatta con la camicia aperta, uno scamiciamento seduttivo inutile che non fa bene al bisogno di coraggio e coerenza del nostro tempo.

Ben 1400 invitati, un mondo che si raccoglie intorno a un’idea e all’eleganza tutta interiore di un uomo, celebrarlo è un dovere e questo dovrebbero impararlo i tanto blasonati e ricchissimi imprenditori italiani o veneti che non sanno però né essere generosi della loro terra né saprebbero chinare il capo in nome di un’obbligatoria riflessione di fronte a un’idea di identità nazionale. Non parole, per favore, ma gesti, piccoli o grandi, ma che siano carichi di verità come quella che Maurizio Marinella porta di sè e di noi nei nodi di seta ammirati nel mondo.

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