«L’urbanistica è da rifondare»

Dopo il via libera all’ipermercato in via Sarpi, l’architetto Antonio Sarto: «Vanificato il mio progetto»
Di Claudio Malfitano

«La rigenerazione urbana deve essere interpretata in maniera nuova, non meramente tecnica. Con una nuova visione anche dell’abitare: più complessa e più vera». Così l’architetto Antonio Sarto definisce uno dei temi centrali della campagna elettorale. Evocata da tutti i candidati sindaco, senza però approfondimenti.

È palese che nel territorio di Padova non si costruirà più, non ci saranno nuovi interventi edilizi: sarà necessario ripensare quello che c’è già. Anche alla luce del fatto che la città perde abitanti a favore della cintura.

Un progetto ambizioso era stato proposto da Sarto per l’area dell’ansa Borgomagno. Lì dove, pochi giorni fa, il commissario De Biagi ha dato il via libera a uno spostamento di cubatura che consentirà la costruzione di un nuovo ipermercato in via Sarpi, alla base del nuovo cavalcaferrovia.

Architetto, il suo disegno oltre a ridisegnare quell’area tra Arcella e centro, distribuiva la cubatura commerciale tra negozi più piccoli anziché un ipermercato.

«Non ho niente conto l’ipermercato. Ma ho un’avversità verso un “paesaggio” che una volta realizzato sarà irreversibile. Serviva una logica più partecipata e condivisa. Senza nulla togliere agli interessi economici, necessari per muovere gli investimenti. Ma ritornando al “bene comune”».

Era lo spirito del suo progetto?

«Era lo spirito del piano urbanistico. “Il superamento dei margini” fu una intuizione di Luigi Mariani ed è stato da me interpretato con un passante verde per connettere i due quartieri. Oggi invece l’area è ancora frammentata».

Poi cosa è successo?

«Ho provato a dare seguito a quel piano dando significato alla nozione di bene comune. Avevo creato dei “dispositivi” per evidenziare gli standard urbanistici, a partire dalla dimensione verde. Era una strategia che ha trovato il consenso di tutti, ma poi al cambio di guardia della politica è cambiato tutto».

Il suo progetto è rimasto in un cassetto a Palazzo Moroni. Eppure sarebbe stato perfetto per il “bando periferie” dove Padova puntanto sul Castello e piazzale Boschetti è arrivata 107esima su 120.

«Al di là dei fondi governativi devo dire che spesso la credibilità degli investimenti viene meno perché la politica cambia ogni cinque anni. Quale imprenditore è disposto a investire se poi si cambia idea ad ogni folata di vento?».

Torniamo alla rigenerazione urbana: tutti ne parlano e pochi la pensano.

«Nel 2014 l’ordine degli architetti fece un grande convegno. Ma non sembra essere cambiato nulla in Comune. Gli uffici accettano i progetti in modo supino, in modo burocratico. Senza che la politica si interessi di questi temi».

E invece?

«Invece, visto che ogni edificio che realizziamo resterà per almeno 100 anni, è arrivato il momento di strutturare il modo di fare urbanistica».

In che modo?

«Pensando alla complessa varietà di servizi e funzioni di cui l’organismo città ha bisogno. È sbagliato ragionare per parti chiuse, isole autosufficienti, slegate da una visione complessiva della macchina città. Bisognerebbe costruire un luogo in cui far convergere le idee per la città».

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