«Mamma e papà, ammazzati e ignorati»

Federico Salpietro: «La prima versione di Horvatincic e il suo disegno con la ricostruzione mai presi in considerazione»
I coniugi Salpietro durante un'uscita in barca
I coniugi Salpietro durante un'uscita in barca

PADOVA. È il 16 agosto 2011. Da qualche giorno l’ingegnere Francesco Salpietro e la moglie Marnelda Nelly Patella hanno lasciato la casa, a due passi dalla Basilica di Santa Giustina, per godersi il mare della Croazia. Sono a bordo della loro barca a vela (il Grand Sole il 39 “Santa Pazienza”) quando intorno alle 11.30 vengono travolti e uccisi a bordo al largo di Primosten (Capocesto) in Dalmazia. Scappa il conducente del motoscafo Itama che li ha appena ammazzati. Scappa e contatta gli amici potenti mentre alcuni turisti danno l’allarme, sconvolti di fronte a quei due corpi massacrati e a pezzi che galleggiano nell’affollato mare ferragostano. A distanza di sei anni e mezzo, nessuna giustizia. E un vergognoso silenzio da parte di tutte le autorità: croate e italiane. Eppure siamo alla vigilia di una nuova sentenza sul caso, la terza. Sul banco degli imputati Tomislav Horvatincic, magnate del settore immobiliare della Repubblica Balcanica a capo dell’impero Hoto Group, molto legato ai palazzi del potere, prima condannato a una pena ridicola (20 mesi con la condizionale di 30 mesi) per omicidio colposo plurimo, poi assolto. Ora dopo l’impugnazione dell’assoluzione stabilita dal giudice Maja Supe, è attesa entro 15 giorni al massimo la nuova sentenza affidata alla Corte d’appello di Zara. Ne parliamo con uno dei figli della coppia che vive a lavora a Parigi dove fa il manager.

Dottor Federico Salpietro, lei e sua sorella Gaia che cosa vi aspettate?

«Guardando a quello che è accaduto fino a oggi, non c’è da sperare niente di bene. Confidiamo solo nella coscienza e nella professionalità dei giudici d’appello».

Federico Salpietro
Federico Salpietro


Eravate costituiti parte civile nel processo contro l’investitore dei vostri genitori: perché ora voi, come parte civile, non ci siete più?

«Il secondo processo in appello è stato celebrato l’11 aprile e la decisione è attesa nei prossimi giorni. Non eravamo nemmeno stati avvertiti dell’udienza. Non siamo più parte in causa secondo la giustizia Croata: in aula, a sostenere l’accusa, c’era solo il pubblico ministero Irena Senecic. Il motivo? L’ultima sentenza di primo grado ha assolto l’imputato e ci è stato negato il risarcimento. Di conseguenza, non risultando più parte in causa, siamo stati tagliati fuori. Ma il pubblico ministero, che ha sempre operato correttamente, ha fatto ricorso».



Fin dal primo giorno il processo è sembrato una farsa. Qual è la cosa più vergognosa che è accaduta?

«La stessa pm, che aveva ricusato il giudice, ha denunciato gravi errori procedurali. Un esempio: nelle carte del processo non figurano le dichiarazioni rilasciate dall’imputato e dalla sua fidanzata a un ispettore di polizia qualche ora dopo l’incidente. Horvatincic aveva spiegato (e sottoscritto) che non funzionavano i comandi del suo motoscafo. Non solo. Aveva fatto un disegno (pure firmato), precisando che si trovava a 200 metri dalla costa. Nel 2012 inizia il processo e cambia versione. Sostiene che era stato colto da una sincope. E le precedenti dichiarazioni, rese all’ufficiale di polizia, non sono prese in considerazione dal giudice Supe perché Horvatincic non era stato assistito da un legale».

Neppure il disegno è stato considerato?

«Neppure quel disegno è tra i documenti del processo. In Croazia, entro 300 metri dalla Costa, c’è il limite di 5 nodi. L’imputato viaggiava a 26.4 nodi quando ha investito i miei genitori. Fatalità: in base alle “carte” ufficiali il radar che riprendeva la zona non avrebbe coperto il punto dell’impatto. Così è stato stimato che lo scontro sia avvenuto a 350 metri dalla costa: per 50 metri Horvatincic non ha violato il limite di velocità. Secondo l’esperto da noi incaricato, invece, Horvatincic navigava all’interno della fascia dei 300 metri. Ma la sua perizia non è stata accettata dal giudice Supe: le bastavano, ha replicato, le consulenze tecniche che già aveva».

Come è stata provata la sincope che ha mandato assolto Horvatincic?

«I medici sentiti in aula hanno affermato che la sincope non lascia traccia. E che solo l’interessato può confermare di esserne stato vittima o meno. L’imputato è stato creduto dal giudice anche se la dichiarazione che aveva firmato poteva sbugiardarlo. Ma, ripeto, non è stata considerata tra le carte processuali».

Le autorità italiane vi stanno aiutando?

«Alla vigilia dell’ultima udienza, e poi ieri, ho scritto una mail al Consolato italiano e alla nostra Ambasciata in Croazia, al premier Gentiloni e al Capo di gabinetto del Ministero degli Esteri Cornado. Ho chiesto la loro intercessione per ottenere un incontro con il Ministro della Giustizia croato. Cosa voglio chiedergli? Come è possibile che i documenti con i quali Horvatincic si è autoaccusato dell’incidente non siano stati considerati dal giudice? E come è possibile che si sia consumata la menzogna della sincope in tribunale? Di questo la magistratura croata e il Ministro, prima che a me, dovranno risponderne al popolo croato».

Che cosa le hanno detto le autorità italiane?

«Nessuno ha risposto. Solo una telefonata ieri dal Consolato: “Stiamo lavorando”».
 

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