Maria Cinzia, Loris e i loro attori dietro le sbarre

Sullo sfondo scintilla l’Orso d’oro che il festival di Berlino ha appena consegnato nelle mani dei fratelli Taviani i quali l’hanno girato, commossi, al gruppo di detenuti di Rebibbia, che del film («Cesare deve morire», dal «Giulio Cesare» di Shakespeare) è protagonista.
Chissà che serva, a illuminare e potenziare lo straordinario lavoro di chi porta il teatro nelle carceri. Nel senso di farlo assieme ai detenuti, restituendo loro un panorama dove collocarsi, sciogliendo la paralisi che in cella rattrappisce e ammutolisce, entrando con loro in un mondo che da intimo diventa corale, condiviso, e infine esibito. E’ terapia, è rottura dell’isolamento, àncora contro lo straniamento, liberatoria possibilità di espressione: spuntano le lacrime al detenuto magrebino che durante le prove, nel recitare una frase o ragionare in merito alla rappresentazione, riacchiappa qualche filo della sua vita; ci si tuffa con la passione di un ragazzino il 60enne con più anni dentro che fuori; non aspettano altro, durante la settimana, che il giorno del teatro, tutti i partecipanti al laboratorio.
Parliamo del Due Palazzi a Padova, dove vivono stipati e annullati, a colpi di otto in celle da tre, 210 detenuti in attesa di giudizio per 98 posti e 830 detenuti in esecuzione penale in uno spazio che dovrebbe contenerne meno di 400. Per un anno, il 2011, il laboratorio che da 20 anni la compagnia Tam TeatroMusica (con gli attori e registi Maria Cinzia Zanellato e Loris Contarini) conduceva in carcere, è stato interrotto. Tagli finanziari. Era pure nato un attore «professionista», detenuto algerino in semi-libertà, interprete dell’ultimo spettacolo del 2010, «Annibale».
Pareva che i fondi della Regione fossero negati anche quest’anno. Invece, all’ultimo momento, il placet. Si riparte. Ieri mattina l’incontro nella biblioteca del penale Due Palazzi è stata l’inaugurazione della ripresa del laboratorio. Con i due promotori e i volontari del Tam, con l’associazione Mimosa, con Anna e Giovanni che portano il teatro nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, e dopo che li hai ascoltati li abbracceresti; Donatella che fa lo stesso a San Vittore. Con una cinquantina di detenuti, compresa la redazione di Ristretti Orizzonti.
E con Ascanio Celestini, il suo potente ragionare, la sua tormentata e smilza barba, i suoi racconti a mo’ di ponti che gli spettatori attraversano, intervenendo, aggiungendo. Una mattinata speciale.
Alberta Pierobon
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