Marina e la cura dell’arte «La bellezza è imperfetta»

Nel 2006 con altri genitori fonda Alice per i disturbi dei comportamenti alimentari «Insegniamo a vincere gli stereotipi. Il day hospital? Una gioia, ma non basta»

Non è volontariato se hai un figlio malato e ti prendi cura di lui. Diventa volontariato se guardi alla malattia in tutti i suoi aspetti e alla cura come un impegno collettivo. «I problemi di uno sono problemi di tutti, io la vedo così. E ho imparato che da soli si risolve pochissimo». Marina Grigolon, 67 anni, ex commerciante, dice di aver sempre avuto questo approccio al volontariato, da rappresentante dei genitori a scuola e da vice presidente della consulta di quartiere. Poi la vita l’ha messa davanti a una sfida più grande. E lei l’ha affrontata a modo suo, cioè con gli altri. Alice, associazione per i Disturbi del Comportamento Alimentare, è nata così. Per reazione.

tutti insieme

«Nel 2006 ci siamo trovati quasi costretti a far rete, noi genitori con figli che avevano disturbi alimentari», racconta Marina. «Al tempo la malattia era sottovalutata, c’era un ambulatorio la cui esistenza era messa in discussione. Abbiamo chiesto di essere messi in condizione di curare i nostri figli». L’appello non cade nel vuoto. Il Csv aiuta il comitato a diventare associazione. «Il nome Alice si ispira alla favola, quella della bambina curiosa, che cambia e cresce e affronta difficoltà. I disturbi alimentari nascono spesso nei momenti di passaggio della vita di una donna, quando si è messi alla prova. Una volta succedeva fra i 16 e i 20 anni, ora anche prima, perché i tempi sono cambiati».

le prime sfide

Sono quasi tutte ragazze adolescenti quelle per le quali si batte Alice fin dai primi giorni. «All’inizio ci muoviamo nel quartiere Cave, poi ci facciamo conoscere in Comune», dice Marina. «Piano piano le nostre richieste diventano mozioni politiche. Chiedevamo spazi adeguati per la cura, un Day Hospital per avere i pasti assistiti e non saltare sempre la scuola». Servono otto anni per arrivarci. Nel 2014 in ospedale nasce il Day Hospital nel piano che intanto è diventato il Centro Riferimento Regionale dei Disturbi Alimentari. È un grande risultato, ma non il traguardo.

a tutto campo

Alice nel frattempo amplia il fronte della sua azione. Fa sensibilizzazione nelle scuole per genitori e insegnanti, raccoglie fondi, organizza corsi - anche per i suoi volontari - promuove laboratori. E, gemellandosi con Artemisia, adotta l’arte come campo privilegiato di azione e distrazione: corsi di pittura, teatro, scrittura creativa e poi mostre e calendari si moltiplicano, affiancando le cure e regalando nuovi sguardi sul mondo a chi soffre di questi disturbi così pesanti e duri da sconfiggere. «L’arte distoglie le ragazze dal pensiero del cibo e del loro aspetto», dice Marina. «E aiuta anche noi. Io scrivevo poesie, ho continuato a farlo. Vedo che piacciono, accompagnano altre forme d’arte con cui lavoriamo. Così ho trovato una nuova dimensione. Non mi piango addosso, riesco a guardarmi intorno e anche se i problemi non sono del tutto superati riesco a pensare che la vita è bella».

gli impegni

Tanti genitori escono da Alice una volta che i figli stanno meglio. «E però altrettanto spesso quei figli o altri ragazzi arrivano a darci una mano», racconta Marina. «Ci aiutano con i social, con la grafica, a organizzare iniziative e a preparare progetti per i bandi». È un impegno intenso e duro, perché la malattia è pesante, si affronta con cure faticose per tutta la famiglia. Marina, che di Alice è presidente, lo vive con dedizione totale e il supporto “logistico” del marito. «C’è tanto sacrificio ma anche belle soddisfazioni», dice. «Aver fatto aprire il day hospital, averlo arredato, forse è stata la più grande. Ma anche gli incontri con le persone sono belli e importanti. Ho capito che c’è del buono in tutti, che c’è bellezza nell’imperfezione - come dice il titolo di un progetto fotografico che abbiamo fatto con gli studenti dell’istituto Valle - e che bisogna andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi», Che poi sarebbe proprio il segreto - neppure tanto segreto - per affrontare la malattia. «Tra i tanti laboratori che facciamo, ce n’è uno in cui costruiamo vestiti parlanti», racconta Marina. «Insegna a immaginare una moda diversa, libera davvero, e a realizzare i capi riciclando altri vestiti». Alice, intanto, pensa in grande. Sogna di ampliare l’orario del Day Hospital - che oggi chiude alle 16,30 - e di trovare una struttura da 5-6 posti in città dove far alloggiare le ragazze che sono in cura, altrimenti costrette a tornare a casa ogni sera. E poi vuole aprire un centro diurno, perché accanto alle cure si possano prevedere altre attività, come andare per mostre o in giro a far capire alle pazienti che la vita è fatta di tante cose. Belle e imperfette. —

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