Mister Bitcoin, raid punitivo contro un detenuto “infame”

Ogni penitenziario ha le sue regole: trasgredirle può costare caro. Ma ci sono delle regole che valgono sempre e comunque, dovunque sia il carcere, al Nord come al Sud. Una su tutte: i bambini non si toccano. E neppure i minorenni più “grandi” nella stagione di un’adolescenza in cui la linea di confine appare sfumata. Così succede anche nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova.
La spedizione
A far rispettare quel “codice” ci ha pensato anche Emanuele Lovato, 36enne ex titolare del bar Alexander, finito dietro le sbarre il 9 ottobre 2018 con l’accusa di aver messo in piedi una rete per vendere droga. Droga spacciata a centinaia di clienti tra professionisti e studenti tutti rigorosamente over 18: i guadagni, investiti in moneta virtuale (bitcoin ed ethereum) erano dirottati nel paradiso fiscale di Panama dove meditava di trasferirsi. Domani è attesa la sentenza che potrebbe costargli diversi anni di galera.
L’aggressione
Intanto, in carcere è stato tra i protagonisti di un raid punitivo contro “un infame”, un nuovo compagno di cella appena arrestato per aver spacciato droga e averla venduta pure a un ragazzino minorenne. Da qui la qualifica che spetta a chi viola quelle regole non scritte ma ferree.
Spacciare droga a un minorenne è una macchia, un’onta pesante che, dentro le mura del penitenziario, non è perdonata. Come – e ancor meno – un reato di natura sessuale: non a caso per i pedofili o chi stupra minori in Veneto c’è una sezione specializzata nel carcere di Verona.
Torniamo alla casa circondariale, il carcere per i non definitivi dove alcuni giorni fa è accaduto il pestaggio: il neorecluso entra in cella.
Subito si sparge la voce del reato che gli è contestato. E poi, sfuggendo al controllo della Polizia penitenziaria che non può essere totale, in quattro si avventano sul “collega” che viene pestato a sangue. Tra gli aggressori Lovato, che, nell’arco di sei mesi dal giorno dell’arresto, sembra essersi perfettamente integrato nel regime carcerario. Anzi, appare come un detenuto di peso, uno che ha capito come funziona la vita in carcere. E fa rispettare il “codice”. Sull’episodio la Polizia penitenziaria ha trasmesso un rapporto in procura.
Difficile, però, ogni ricostruzione: la prima regola del carcere è il silenzio.
Conto con la giustizia
Domani appuntamento davanti al gup per Lovato a Palazzo di giustizia: rischia grosso per detenzione, spaccio di sostanze stupefacenti e autoriciclaggio aggravato.
Nella precedente udienza (è stato ammesso al rito abbreviato che impone lo sconto di un terzo della pena) il pubblico ministero Benedetto Roberti ha chiesto per lui 8 anni: in base a quanto emerso dall’inchiesta dal 2016, supportato da collaboratori, avrebbe organizzato la distribuzione di marijuana, hashish e funghi allucinogeni con principi attivi elevati contando su diverse basi operative in città tra cui una villa in via Mentana. —
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