Monte di Pietà, un palazzo cresciuto attraverso i secoli

Correva l’anno 1491 quando il vescovo padovano Pietro Barozzi annunciava alla folla dei fedeli, convenuti in festosa processione in piazza dei Signori, l’apertura del Monte di Pietà il cui scopo era...
SANDRI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - PALAZZO MONTE DI PIETA'
SANDRI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - PALAZZO MONTE DI PIETA'
Correva l’anno 1491 quando il vescovo padovano Pietro Barozzi annunciava alla folla dei fedeli, convenuti in festosa processione in piazza dei Signori, l’apertura del Monte di Pietà il cui scopo era quello di soccorrere i cittadini più bisognosi sottraendoli alle estorsioni degli usurai. Barozzi aveva chiamato a dargli man forte un eccezionale predicatore che aveva fondato analoghi istituti in varie parti della penisola, Bernardino da Feltre. Fu una crociata per amor dei poveri che interessava anche i ricchi. Il sistema creditizio virtuoso decollò felicemente e, ironia della sorte, la tradizione vuole che andasse a insediarsi nel palazzo che era stato del noto usuraio Reginaldo Scrovegni, sul lato settentrionale del sagrato del Duomo. La prima sede stabile fu infatti un palazzo del Trecento inscritto nell’area della Reggia Carrarese. Ma per dare idea della solida affidabilità del Monte serviva una sede maestosa che inglobasse in un complesso organico e unitario i resti del palazzo medievale.


Intorno al 1532 venne incaricato dell’impresa l’architetto più celebre e innovativo che viveva a Padova, familiare alla cerchia di Alvise Cornaro, Giovanni Maria Falconetto. Egli aveva ammodernato la cinta muraria della città, progettato la loggia e l’odeo Cornaro e ridisegnato l’arco d’ingresso trionfale all’ex Reggia Carrarese. Falconetto accentuò volutamente nella facciata il richiamo al classicismo romano volendo così marcare il primato d’antichità della città di Antenore e Tito Livio nei confronti della dominante veneziana. A tal fine elaborò la lezione dei maestri del Rinascimento e legò in euritmica sequenza le grandi arcate, i solenni finestroni e la trama delle modanature in pietra di Nanto.


Il successo del Monte fu tale che nel 1538 venne richiesta alle autorità veneziane l’autorizzazione all’ampliamento in direzione di piazza dei Signori. Il placet della Serenissima arrivò solo all’inizio del Seicento. L’edificio d’angolo fu un’impresa di grande perizia: si aggiunsero le tre arcate finali, identiche alle originali, e si procedette assecondando urbanisticamente la trasformazione della cittadella carrarese ma facendo di quel fronte alto e stretto, una specie di sontuoso introibo alla sede dell’istituto con la facciata scenografica ricca di apparati decorativi, visibile di scorcio da sotto in su. L’architetto non è certo, l’attribuzione chiama in causa Vincenzo Dotto, che disegnò anche i fastosi apparati decorativi eseguiti dallo scultore Cesare Bovo.


Gli eventi storici portarono a un indebolimento del Monte e a far tacere i cantieri sino a metà Ottocento quando si mise mano al complesso quadrangolare di Corte Vallaresso per l’insieme degli uffici che rimasero di pertinenza del Monte quando l’attività originaria dovette differenziarsi da quella bancaria della Cassa di Risparmio. Risale agli inizi del ’900 la necessità di distinguere nettamente funzioni e clientela del pegno da quelle del credito. Ma fu solo dopo la guerra e la ripresa della vita civile che venne costruito il grande salone tardo liberty, non esente da un pervicace eclettismo, aperto su via del Monte con profusione di decorazioni plastiche, pittoriche, vetrate e ferri battuti.
(v. bar.)


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