MotoGp, il commento. Se questo è ancora sport...

A un certo punto bisognerà pur chiederselo se questo è ancora sport. Di sicuro non è più la stessa cosa di prima, non è più una sfida a tutta velocità, a chi piega meglio in curva e sceglie traiettorie migliori, a chi sa gestire le gomme e la passione che ha nel cuore. No, quello di domenica a Valencia non sarà più un Gp del Motomondiale, l’ultima sfida di una stagione da antologia con in palio il titolo. No, è qualcosa d’altro, senz’altro di peggio. E poco conta, adesso, stare a cercare di capire chi abbia cominciato, chi abbia seminato odio come olio in mezzo alla curva dell’onestà e del rispetto.
È sport se c’è chi corre prima di tutto non per vincere ma per fare perdere un altro? Se l’invidia va non dove porta il cuore ma dove alberga l’odio personale? C’è da chiedersi dove finisca la sfida e dove cominci la faida, se un pilota prova a buttare giù un altro e l’altro poi alla fine – sbagliando – cade nel tranello, reagisce e ne nasce un caso di Stato, una sequenza di insulti e di disprezzo che esce dal circuito.
C’è da chiedersi se valga la pena esultare, quando gli avvocati sostituiscono i meccanici e per vincere potrebbero contar più i cavilli che i cavalli. No, non è più sport, se un’opinione espressa dopo il Gp di Sepang (Rossi ha sbagliato) vale raffiche di insulti sui social, dove quasi tutti giudicano senza ascoltare le ragioni degli altri. Dove quasi nessuno pensa che l’avversario non è un nemico da stroncare ma il miglior alleato per diventare più bravi.
Peccato, era stata una bella lotta, quella fra Valentino Rossi e Jorge Lorenzo. E anche con Marc Marquez, il giovanissimo, bizzoso bicampione uscente, finché è stato in grado di reggere. Poi, caduto lo scettro, ha perso anche la testa. Ed è stato buio pesto. Adesso ci sono piloti che non si parlano e si promettono sportellate, ci sono tifosi che minacciano sprangate e il primo pensiero non può più esser per chi vincerà ma è una preghiera affinché nessuno si faccia male, in pista e fuori. Poi, certo, alla fine ci saranno trofei da alzare e nulla sarà più come prima con scuderie da ridisegnare per arginare il disastro nei rapporti umani.
Se questo è sport, è molto difficile farselo piacere. Peccato, volendo ci sarebbe una leggenda da celebrare, comunque vada. Sì, perché Rossi non aveva niente da aggiungere a una storia trionfale: nove o dieci titoli è solo questione di cifra tonda. Se perderà, sarà arduo non pensare a una congiura; se vincerà, a 36 anni suonati, insieme con gli applausi arriveranno anche secchiate maleodoranti.
Il Gp di Valencia, purtroppo, difficilmente si chiuderà con la bandiera a scacchi. A meno che non ci regali un’impresa dai toni epici, una vittoria in grado di lasciarci a bocca aperta e di chiudere, almeno per un po’, le fonti dei rancori. Solo così si potrà almeno provare a smettere di chiederci se questo è sport.
twitter: @s_tamburini
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova