Natalino Balasso «Così è il mio Davigo nel ciclone 1992»

Sarà l’attore rodigino Natalino Balasso a interpretare il pm del pool di Mani Pulite Piercamillo Davigo nella fiction “1992” di Sky Atlantic, in anteprima alla Berlinale e sugli schermi nei prossimi mesi. Balasso, 55 anni, è nel cast della serie nata da un’idea di Stefano Accorsi, basata sulla sceneggiatura di Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo e diretta da Giuseppe Gagliardi.
Natalino Balasso, come è nato il progetto “1992”?
«Da un’idea di Stefano Accorsi che ha scelto di raccontare non tanto l’affresco di un’epoca quanto un anno, il 1992 appunto, partendo da storie private. Tangentopoli è sullo sfondo. Ho accettato di interpretare il ruolo di Davigo perché mi è stato concesso di girare nei ritagli di tempo dei miei impegni teatrali. La scelta narrativa del regista Gagliardi è stata di non rendere il personaggio di Antonio Di Pietro protagonista ma di raccontare Mani Pulite, partendo da un personaggio esterno al pool, interpretato da Accorsi».
Cosa c’è dietro a questa scelta narrativa?
«Ritengo che l’intenzione sia quella di raccontare una storia universale. che poi ci si legga un aspetto dell’Italia, penso sia inevitabile».
Cosa intende dire?
«Quello che è emerso dopo l’arresto di Mario Chiesa non è stato solo un episodio. Tutto quello che è stato fatto negli ultimi 20 anni, per affossare il lavoro di Tangentopoli e per continuare a rubare meglio di prima, e gli scandali attuali del Mose e dell’alta velocità, confermano che c’è una continuità con Tangentopoli. La corruzione è un problema fisiologico del nostro Paese. Per combatterlo bisognerebbe cominciare dall’educazione nelle scuole».
Come si è preparato per interpretare Davigo?
«Mi sono guardato i filmati del 1992, però il serial non è stato realizzato con una ricerca emulativa dei personaggi ma attraverso la loro caratterizzazione. Se mi avessero chiesto di fare l’imitazione di Davigo, non avrei accettato. Le vicende di Mani Pulite poi sono raccontate più dal punto di vista umano che da quello storico».
Interpretare questa fiction ha cambiato la percezione che aveva prima di Mani Pulite?
«La cosa che più mi ha colpito è quanto Mani Pulite si basasse sulle intelligenza dei giudici che cominciarono l’indagine in modo quasi artigianale, visto che prima non c’era mai stato niente di simile. Nessuno dei pm avrebbe mai pensato che le inchieste avrebbero portato a risultati così importanti».
La caduta del muro di Berlino ha reso possibile Tangentopoli e la fine della prima Repubblica?
«Questa è una teoria, legata al fatto che gli americani avevano paura che i comunisti vincessero le elezioni, avvicinando l’Italia al blocco sovietico. Può essere che una volta caduto il muro di Berlino e dissoltasi l’Unione Sovietica, a Washington abbiano smesso di preoccuparsi degli equilibri politici italiani. Il problema però è che quando è cominciata Tangentopoli i giudici del pool erano visti come dei simboli dalla gente che voleva liberarsi dalla corruzione. Quando un popolo ha bisogno di simboli vuol dire che c’è una carenza di democrazia».
Per il teatro, invece, lei il 15 marzo al Toniolo di Mestre porterà in scena il monologo “Veldimaya”.
«Ho deciso di parlare del giro mentale che comincia quando veniamo educati. Lo spettacolo racconta la vita di una persona come se fosse un film perché tutti alla fine recitiamo un ruolo».
Un ricordo del regista padovano Carlo Mazzacurati, a un anno dalla scomparsa?
«Al di là della perdita dell’amico, penso che di Mazzacurati abbiamo perso uno sguardo diverso, un regista che ha prodotto a livello locale film con dignità internazionale».
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