Nessuna società cartiera imprenditori tutti assolti

Erano finiti nei guai chiamati in causa da un collega, Davide Tassinari: a lui era stata contestata un’evasione di 5 milioni di euro. È indagato per calunnia
Di Cristina Genesin
GENESIN - INCONTRO AVVOCATI IN TRIBUNALE
GENESIN - INCONTRO AVVOCATI IN TRIBUNALE

La verifica era partita dagli 007 del Fisco. E quell’ispezione si è trasformata in un atto d’accusa per l’imprenditore Davide Tassinari, 53 anni di Abano Terme che, di fronte alle anomalie contabili riscontrate nella sua ditta e destinate a far sospettare un’evasione fiscale per oltre 5 milioni e 830 mila euro, aveva confessato: «La mia è anche una società cartiera... Quei soldi contabilizzati, in realtà, non li ho. Emetto fatture per operazioni inesistenti a favore di altre aziende».

Da quella ammissione era scattata l’inchiesta penale coordinata dal pubblico ministero di Padova Luisa Rossi che, alla fine, aveva contestato il reato di evasione a Tassinari e ad altri 15 imprenditori.

Ieri in primo grado si è chiusa la vicenda giudiziaria per 13 imputati (tre erano già usciti di scena con riti alternativi): tutti assoldi. E con formula piena. Il giudice monocratico Nicoletta De Nardus ha pronunciato l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” oltreché per Tassinari (difensore l’avvocato Ernesto De Toni); anche per Franco Bressan, 65 anni di Cervarese Santa Croce (difensore il penalista Massimo Malipiero); Francesco Ferrian, 59 anni di Saletto (avvocato Martina Maneghello); Roberto Gioachin, 56 anni di Ponso (avvocato Davide Druda); Pietro Marenzi, 61 anni di Padova (avvocato Barbara Cotrufo); Lorenzo Santinato, 41 anni di Ospedaletto Euganeo (avvocato Francesco Rondello); Franco Sabbadin, 54 anni di Este (avvocato Martina Meneghello); Ampelio Trevisan, 54 di Cinto Euganeo (avvocato Massimo Malipiero con Sandro Terrestri); Maria Letizia Thiene, 54 anni di Mestrino (avvocato Davide Druda) e Riccardo Guariento, 48 di Megliadino S.Vitale (avvocato Simone Perazzolo). Di fronte alle dichiarazioni di Tassinari, i titolari delle ditte tirate in campo si sono difesi. Hanno negato di aver mai utilizzato fatture destinate a “giustificare” flussi di danaro per dribblare il fisco: tutti i versamenti che risultavano nella documentazione contestata erano relativi a forniture vere (Tassinari era a capo di una ditta di materiale per l’edilizia). Ecco il motivo dei pagamenti, tutti autentici e non fittizi. Chiamato in aula come testimone, il funzionario dell’Agenzia delle Entrate aveva spiegato che la fonte delle accuse erano le dichiarazioni di Tassinari. Dichiarazioni di un imputato – hanno eccepito i difensori – pertanto non sufficienti per provare l’accusa e non utilizzabili in base alla normativa. In aula il pm d’udienza aveva chiesto la condanna per tutti al minimo della pena, un anno. Ma è andata diversamente. E il giudice ha accolto in pieno le tesi della difesa. Nel frattempo alcuni coimputati avevano denunciato Tassinari: è stata aperta un’inchiesta e l’uomo risulta indagato per il reato di calunnia.

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