Nino D’Angelo, anni ’80 (e non solo)

PADOVA. «Per anni ho camminato con quest’anima col caschetto dentro, me lo sono portato appresso». Si racconta così, Nino D’Angelo alla vigilia della tappa padovana del suo nuovo tour, “Concerto anni ’80... e non solo”. Parlare della carriera del popolare artista napoletano significa anche un po’ riflettere sulle pettinature. Quando lo chiamavano “caschetto d’oro” la sua fulgente popolarità riuscì probabilmente a offuscare quella di Caterina Caselli, altra chioma dorata della musica leggera italiana. Per Nino D’Angelo, “o’ scugnizzo”, dopo il successo degli sceneggiati, ambientati a Napoli, dei dischi pop, dei film, all’inizio degli anni ’90 quei capelli si sono scuriti, accorciati. La pettinatura è cambiata, i temi affrontati dalle sue canzoni anche: più socialità, meno amore. Oggi i suoi capelli sono di nuovo chiari, ma canuti. «Negli ultimi vent’anni» racconta Nino D'angelo «ho sempre portato in giro una sorta di pot-pourri, questa volta sarà uno spettacolo intero dedicato agli anni ’80, che è stato il periodo in cui è cambiata la mia vita, ho avuto successo. Ero diventato un personaggio nazionalpopolare con quei filmetti e la televisione. Poi man mano uno cresce e fa altre cose». Arriva anche il momento di guardarsi indietro: «Come tutti i cantanti che hanno una storia grande» continua «se Celentano deve fare per forza “Il ragazzo della via gluck”, Morandi “Fatti ma mandare dalla mamma”, io canterò sempre “Nu jeans e na maglietta”».
Ma quella di sabato al Geox non chiamiamola semplicemente operazione revival: «Oggi ai miei concerti ritrovo i figli di quelli che venivano negli anni ’'80. Oltre il 90% del pubblico che finora ha incontrato in tour non supera i 30 anni. È divertente proporre a loro quei vecchi brani che non cantavo. È stato fatto anche un enorme lavoro di recupero dei suoni originali». Ma tra i giovani di allora e quelli di oggi qualcosa è cambiato: «Negli anni ’80 il valore dell’amore era molto forte, eravamo tutti sognatori: la ragazza, il lavoro e la famiglia. I sentimenti su cui reggevano le mie canzoni oggi sono un po’ calati, il primo problema dei giovani è trovare un lavoro, la nostra generazione da questo punto di vista ha un po’ fallito». I tempi cambiano e anche gli argomenti: «Oggi, come cantautore affronto altri temi, il sud, le sue problematiche, faccio un pezzo sul boss, ne dedico uno a Scampia. Penso che i suoni siano il veicolo migliore per arrivare dappertutto. Non è tanto il dialetto, il linguaggio con cui mi esprimo, ma soprattutto il suono della parola. L’internazionalità della canzone napoletana non ce l’ha nessuno, tutti i più grandi tenori del mondo hanno nel loro reperto canzoni napoletane».
Il recente lutto di Pino Daniele è stato un duro colpo per il mondo partenopeo: «È come se fosse caduto un monumento, ti svegli la mattina e ti manca l’aria» commenta Nino D'Angelo «la sua mancanza a livello artistico e umano è enorme. Eravamo amici. Malgrado tutto Napoli ha il dovere di crescere».
La storia di Nino D’Angelo, la sua crescita artistica, parte dalle periferie («non sono solo quelle raccontate dai media, ci sono i problemi, c’ èlo spaccio, la camorra, ma ci sono anche tante brave persone che rimangono invisibili»), dove oggi va soprattutto la musica rap. Soppianterà la tradizione? Non c’è pericolo: «Non finirà mai, la tradizione, è un patrimonio. Napoli sarà sempre raccontata come la città delle canzoni, saremo sempre cantati». Sabato 18 aprile, ore 21.30, Gran Teatro Geox a Padova, biglietti da 18 a 39 euro pdp, info: 049.8644888.
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