Onda Palace, da grattacielo moderno di Interporto a set pericolante per selfie e graffiti

PADOVA. Rip T.Z. Anche un muro può piangere quando è la vernice spray a raccontare il dolore. C’è una generazione che ha deciso di tirar fuori ciò che ha dentro sulle pareti grigie di uno scheletro in cemento armato alto settanta metri. Il dramma della morte è un trionfo di rosso e azzurro al decimo piano, mentre al dodicesimo c’è Bart Simpson che gioca con le parole (B-art). Il viaggio nella palestra dei giovani graffittari inizia con una scritta bianca e rossa al piano terra, vicino alla tromba delle scale: “Piano 1, salire per vivere”. Un viaggio lungo 17 piani, settanta metri a strapiombo sulla tangenziale. Benvenuti su Onda Palace, simbolo dell’opulenza delle costruzioni pre crisi economica. Questo grattacielo che ormai da dieci anni modifica l’orizzonte della città doveva essere il nuovo cervello dell’Interporto di Padova. È diventato invece un mostro abbandonato che si sta autodistruggendo. Il tetto è una piscina a cielo aperto e l’acqua sta filtrando inesorabilmente, piano dopo piano.
Lo scenario. I cassoni variopinti, accatastati uno sull’altro, sono una costante nel panorama che si staglia da un lato della torre direzionale mai nata, finita sotto sequestro per un’indagine in odor di mafia, e ora quasi dimenticata nonostante le sue dimensioni mastodontiche. Ci si abitua a tutto, anche a questo gigante che svetta pochi chilometri prima dell’uscita per andare all’Ikea. Alle foto estreme dei ragazzini che vengono quassù per i selfie da brividi, con le pose da “figo” e il vuoto alle spalle. Anche alla sicurezza che non c’è, perché i corrimano sono strutture precarie in legno e in ogni piano ci sono almeno due o tre voragini coperte con i pannelli in compensato. Interporto da un lato, Torre della Ricerca dall’altro. Poi zona industriale a perdita d’occhio, con i capannoni grigi. E i camion e le macchine, che da quassù sembrano miniature telecomandate tutte dalla stessa mano.

I rumori. C’è solo un suono che buca il costante sottofondo del traffico della tangenziale: sono le gocce che filtrano dal tetto e invadono quelli che sarebbero dovuti essere uffici, bagni, sale riunioni, scale interne, uscite di sicurezza, corridoi. Un palazzo pensato per ospitare una struttura verticistica, con l’ufficio del direttore di Interporto che sicuramente avrebbe trovato spazio al piano 17. I plin... plin... plin rimbombano da un lato all’altro della stanza, dove le finestre a ribalta portano ancora le etichette adesive del costruttore e i tubi rossi dell’impianto di riscaldamento rigano un soffitto spoglio che avrebbe dovuto ospitare neon e pannelli fono-assorbenti.

I pericoli. Il palazzo sembra una gigantesca scatola di cravatta sistemata in piedi. Il tempo si è fermato in un giorno preciso dell’anno 2012. Una moltitudine di operai è sparita da un giorno all’altro. Percorrere i 18 piani (17 più uno interrato) è come osservare una foto in bianco e nero, dove precarietà e toni sbiaditi fanno da padrone. Alcune pareti dell’enorme parallelepipedo sono state sistemate in modo posticcio, solo per tappare un buco ma basta scuoterle per farle cadere nel vuoto di quei 70 metri, dove strade e marciapiedi si fanno piccoli-piccoli. Una cosa è certa, Onda Palace è frequentato dai giovani writers che quassù si possono esercitare lontani da sguardi indiscreti e, soprattutto, lontani dalla polizia. Si entra dal terrapieno sotto il cavalcavia di corso Spagna, dove i frequentatori abituali hanno tranciato un pezzo di rete per garantirsi un ingresso agevole. Ci si fa largo sul piazzale pieno di fango, pozze d’acqua stagnante e sacchi di cemento e si entra facilmente al piano terra grazie a una rampa improvvisata con le tavole in legno.
I writers. A terra ci sono decine di bombolette vuote e i muri parlano da soli. Raccontano pomeriggi di noia in una città che non sa offrire nulla che non sia a pagamento. Sembra di sentire la musica rap e trap degli altoparlanti bluetooth sintonizzati con i telefonini, ritmi che hanno sicuramente ispirato gli artisti di strada con il loro linguaggio criptico e a volte indecifrabile. E anche questa è una delle colonne sonore che accompagnano il declino inarrestabile del fu Onda Palace.
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