Padova come Hamelin: ci sono 400 mila topi, prediligono i canali

Le pantegane ora che è inverno lasciano i campi per trovare cibo tra le case. Ma odiano il “porta a porta”

PADOVA. Un esercito di ratti, invisibile, nascosto nel buio, abita la nostra città: popola le fogne, i sotterranei, i giardini abbandonati, i campi incolti della periferia, i capannoni industriali, le stradine tortuose del centro storico. Padova, oggi, tuttavia, è molto più pulita di un tempo e questo ha contenuto queste presenze inquietanti. Grazie ai controlli attualmente il problema sussiste ma non è una piaga, un indice di degrado com’è stato nel passato.

Solo stime. Una ventina di anni fa si stimava che per ogni umano ci fosse una dozzina di pantegane, oggi, anche nell’ipotesi di due ratti a testa, abbiamo un totale di circa 400 mila. Si tratta di stime naturalmente non più affidabili di un exit-poll prematuro. La città, con i suoi canali, con chilometri di argini, è un ambiente molto accogliente per i topi. La popolazione murina è comunque una risacca che va e viene.

Derattizzazione. Secondo l’agenzia di Igiene Urbana che si occupa di derattizzazione per Acegas è in autunno e in inverno, quando i campi sono spogli, che i ratti in cerca di cibo si concentrano in città. Ma apparizioni consistenti si sono verificate anche quest’estate in occasione di lavori di manutenzione delle fognature e con l’abbattimento di vecchie strutture per allestire nuovi cantieri. Topi sono stati visti in riviera Ponti Romani in corrispondenza di un deposito temporaneo di merci protette da robuste confezioni. Ma gli incisivi a crescita continua del ratto sono in grado di perforare spessori di plastica di cinque centimetri e la capacità di penetrazione dell’animale è straordinaria, passa attraverso buchi piccolissimi, si trasforma in biscia. Il ratto è un prodigio della natura per capacità di sopravvivenza, è intelligente e cauto, la femmina è in grado di adeguare il numero delle nascite alla disponibilità di risorse. L’esca che viene distribuita contiene un veleno che non agisce subito ma dopo 4 o 5 giorni dall’assunzione, in modo che l’animale non colleghi il cibo alla malattia e non metta in allarme i compagni.

L’emigrazione. La pantegana è uno straniero, il ratto grigio o marrone, nel corso del medioevo, in seguito a stagioni di carestia accompagnate da freddo intenso, fu protagonista di una emigrazione di massa dalle pianure del Volga e del Don all’Europa. Il ratto nero, autoctono, venne cannibalizzato e costretto a rifugiarsi sui tetti o nei solai. Il ratto grigio o norvegicus si infiltrò nei paesi del mediterraneo anche trasportato dalle navi granarie veneziane che portavano cereali dalla Turchia. Il nome pantegana, infatti, deriva da mus ponticanus, topo del Ponto Eusino (Turchia e Mar Nero).

Un diffidente. Il topo è neofobo, diffida delle novità, ma è anche in grado di approfittare delle situazioni. Per esempio, in Riviera Mussato, quanto vent’anni fa furono cambiati i contenitori delle spazzature, si tolse ai ratti una fonte di alimentazione. Quasi in un certo senso impazzirono: si arrampicavano sugli alberi, correvano in mezzo alla strada. Invano si parlò di scoiattoli o di ghiri, gli abitanti se la presero con il Comune.

Il porta a porta. Un’altra invasione, ma molto più modesta, si verificò all’inizio della raccolta porta a porta dei rifiuti: i sacchetti restavano esposti per troppo tempo. Quando gli orari di raccolta furono regolarizzati il fenomeno sparì. A metà degli anni Settanta un altro episodio fece scalpore: al macello di via Cornaro erano state appese mezzene di dimensioni eccessive rispetto all’altezza dei ganci per cui la carne era a contatto con il suolo. Questo provocò un’invasione di topi che sforacchiarono le carcasse dei bovini. Intervennero i carabinieri che filmarono lo sfacelo. Le pantegane si sparsero poi nella zona del Portello e dell’obitorio seguendo il fiume nei due sensi.

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