Corteo pro Palestina invade la tangenziale: «Se toccano la Flotilla, blocchiamo tutto»
Durante il tragitto 600 manifestanti hanno imboccato corso Australia, a Padova, percorrendo circa 900 metri: traffico in tilt. Ma gli automobilisti in coda li hanno sostenuti a suon di clacson

Era partito come un corteo pacifico a Padova, concordato con la Questura: poi la svolta. Letteralmente. Una deviazione dal percorso della manifestazione pro Gaza oggi pomeriggio, sabato 27 settembre, ha portato seicento persone a invadere corso Australia, bloccando la circolazione della tangenziale per quasi un’ora.
Oltre agli ovvi disagi, molti automobilisti hanno però solidarizzato con il fuori programma, suonando i clacson al ritmo di slogan e musiche a sostegno del popolo palestinese che hanno risuonato in strada.
Dalle 15, il piazzale della stazione si è riempito sotto lo sguardo vigile delle camionette del Reparto Mobile, di agenti in borghese mimetizzati tra la folla e persino di un autoidrante, pronto ma mai utilizzato (e rientrato al deposito poco dopo la partenza del corteo).
La pioggia si è attenuata soltanto intorno alle 16, quasi fosse un segnale. Ed è in quel momento che la lunga fila di ombrelli, bandiere palestinesi e cartelloni si è messa in movimento.
Via Sarpi, prima tappa. Tra slogan urlati al microfono e rilanciati dagli altoparlanti del furgone in testa al corteo. «Stop al genocidio», «Libertà per Gaza», «Se bloccano la Global Sumud Flottilla, siamo pronti a bloccare l’interporto». Parole scandite a ritmo di tamburi e musica, parole che appartenevano a chi le pronunciava ma che cercavano eco oltre il perimetro della manifestazione.

E poi, l’imprevisto. Non un gesto studiato nei minimi dettagli, ma un’onda improvvisa, un guizzo collettivo. All’altezza di via Montà, il corteo ha deviato. Un taglio netto dal percorso autorizzato, un passo in più rispetto agli accordi. In pochi secondi la marea umana ha varcato il presidio della polizia ed è sbucata su corso Australia. Lì dove il traffico scorre veloce, abituato a non fermarsi mai, si è alzato un muro di corpi e di bandiere.
Per oltre mezz’ora la tangenziale è rimasta bloccata. Seicento persone a piedi contro il flusso di automobili. Eppure, ciò che avrebbe potuto trasformarsi in tensione non lo è stato. Gli automobilisti, abituati a leggere i cortei come ostacoli, hanno sorpreso tutti. Non insulti, non rabbia. Al contrario: clacson suonati a ritmo con gli slogan, mani alzate dai finestrini, cenni di solidarietà. Una complicità inattesa, segno di un cambiamento silenzioso nell’opinione pubblica.
Arrivati in via Chiesanuova, i manifestanti hanno lasciato pacificamente la tangenziale. Nessuno scontro, nessuna carica, nessun vetro infranto. Un’uscita composta, seguita da un lungo serpentone verso corso Milano fino a piazza dei Signori. Qui la protesta si è trasformata in promessa: «Siamo pronti a bloccare la città. Domani, dopodomani, ogni volta che servirà finché la guerra non sarà finita».

Il corteo si è sciolto tra il sostegno e gli applausi passanti del sabato pomeriggio, tra lo shopping e le vetrine illuminate. Ma qualcosa è rimasto sospeso nell’aria. Perché quello che è accaduto non è stato soltanto l’ennesima protesta. È stato anche un segnale di un’opinione pubblica che sta cambiando.
Il corteo pro Gaza ha raccontato, in fondo, una storia più grande della singola deviazione su corso Australia. Ha raccontato di un Paese che assiste, discute, prende posizione. Ha raccontato di una città che non resta immobile.
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