Fedora Favaron compie 80 anni, la regina della notte padovana
Fedora Favaron, storica titolare del St. John’s Pub di Padova, celebra 80 anni di vita e oltre trent’anni di attività nel locale simbolo della notte padovana, accogliendo studenti, professionisti e musicisti con energia e pazienza

Dove si va stasera? Dalla Fedora. Un refrain che si ripete da oltre trent’anni, sempre uguale. Che siano le otto di sera o le due di notte, poco importa: il St. John’s Pub non chiude mai. E che a pronunciarlo siano professori o studenti, fuorisede ma anche in sede, calciofili o musicisti, professionisti o sbandati, non fa differenza: accoglie tutti Fedora Favaron, la regina della notte padovana.
Energica, risoluta, instancabile, compagnona. «Soprattutto paziente» aggiunge lei, che incontriamo in occasione di un traguardo importante, in piazzale San Giovanni, in quella che è casa sua.
Oggi compie ottant’anni.
«Sono fortunata a essere arrivata a questo punto in salute, fisica e mentale, ma gli anni si sentono».
Eppure è sempre qui.
«Tutte le sere».
A letto dopo le quattro.
«E mi alzo verso mezzogiorno, l’una: prima non rispondo neanche al telefono».
Come festeggia?
«In famiglia, ma quest’anno non ne ho molta voglia. Otto mesi fa è mancata mia figlia Lucia, faceva gli anni anche lei in questo periodo (sospira, ndr). Il dolore è una cosa che rimane mia e basta».
Lei è un’istituzione in città, lo sa?
«Ho passato tutta la vita in mezzo alla gente».
Il suo primo ricordo legato al St. John’s.
«Non ne ho uno in particolare. Quando abbiamo aperto, nel 1994, siamo stati subito felici: prima avevamo un ristorante, ma in questo tipo di locale si ha un rapporto più diretto con la gente».
Parla al plurale.
«Io e mio marito Ottavio, il più bello del mondo. Non c’è più».
Immaginava che sarebbe durata così a lungo?
«Forse no, ma quando stai bene con la tua attività è così: perché fermarsi? Si va avanti. Ci siamo divertiti tanto, ho dei ricordi bellissimi, ma ora siamo stanchi».
Cosa intende?
«Vogliamo cederlo».
È un colpo al cuore…
«Dispiace anche a me ovviamente, ma con la vita notturna ho dato».
Come sono cambiate le abitudini delle persone in trent’anni?
«I cellulari e i social hanno modificato il modo di stare insieme. E poi la gente non spende più, ma è ovvio: siamo tutti limitati con i costi che ci sono. Facevamo tanta musica dal vivo un tempo, abbiamo dovuto tagliare perché non ce la facciamo».
I giovani di oggi.
«Più irruenti, più impazienti di una volta. C’è meno educazione, meno rispetto».
Bevono molto?
«Spesso per non pensare ai problemi, e si fanno del male. Io non do da bere a chi è ubriaco: lo mando via, di brutto anche».
Come ci si comporta con il popolo della notte?
«Ci vuole tanta pazienza, cerco di ascoltare i ragazzi. Hanno bisogno di parlare, perché spesso nelle famiglie c’è poco dialogo. Mentre qui mi raccontano le loro storie e io sono come un sacerdote».
Cioè?
«Le tengo per me».
Si sente un po’ psicologa?
«Lo diventi anche se non vuoi».
Un cliente che le è rimasto nel cuore?
«Impossibile dirne uno».
Negli anni sono passati molti vip.
«Morandi, Balotelli, Luttazzi, Biagio Antonacci con una bellissima ragazza. Anche Jannacci tanti anni fa, si è messo a cantare al karaoke e non andava più via: aveva bevuto».
Altri?
«Amedeo Minghi, c’era la piazza piena fuori e non ha voluto neanche farsi fotografare. I big sono così».
La richiesta più assurda?
«Una ragazza vegana mi ha tormentato perché voleva sapere per filo e per segno tutti gli ingredienti del pane del club sandwich, poi mi ha chiesto una coppetta di salsa rosa: ma sito vegana o cossa?».
Ci sono stati anche momenti di tensione.
«Raramente, è da molto che non succede niente. Una volta avete scritto: “Assalto al St. John’s”. E non era successo niente».
Il 15 ottobre 2021 è scoppiata una rissa, in cui un ragazzo ha rischiato la vita.
«Erano due amici. Appena arrivati, già ubriachi. Stavano chiacchierando e da uno di loro è partito un pugno. L’altro ha battuto la testa a terra ed è finito in coma. Sono rimasti amici».
Incredibile.
«Già. Ma abbiamo anche della bella clientela eh, gente sana. Le serate con il karaoke sono le migliori, perché la gente ha bisogno di sfogarsi, vuole cantare e divertirsi. Vengono tante compagnie: quindici o venti medici. È un passatempo sano».
Il locale è sempre pieno, come se lo spiega?
«Sarà la simpatia del capo (guarda il figlio Mirco e ride, ndr)».
Scherzi a parte.
«Essendo gli unici aperti fino alle quattro siamo un punto di riferimento per tante persone: sanno che ci siamo sempre, che l’apertura è costante. Il nostro è l’unico locale che non ha il nome fuori, ma è conosciuto da tutti».
Il «capo» è sempre al suo fianco.
«Stiamo bene insieme, ci supportiamo a vicenda. Mirco è proprio bravo, fa di tutto, ma è stanco anche lui. Mentre l’altro figlio, Matteo, ha un lavoro statale, alle 15.30 ha finito. Beato lui».
Cosa fa Fedora fuori da qui?
«Sto volentieri a casa, mi muovo poco ultimamente».
Il futuro?
«Vita da pensionata, serena con la mia famiglia nonostante il grande dolore che ho dentro. Fino a un anno fa ero molto più serena, ma la vita è così».
Paure?
«Di niente».
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