Stop ai cellulari in classe, a Padova regole rispettate: «C’è più socializzazione»

Dalle scuole nessun caso di trasgressione, regole applicate con autonomia. La Rete degli studenti attacca: «È solo propaganda, non una vera soluzione»

Silvia Bergamin
A Padova la misura di disciplina digitale varata sembra funzionare: nessun sequestro di smartphone, le regole vengono rispettate
A Padova la misura di disciplina digitale varata sembra funzionare: nessun sequestro di smartphone, le regole vengono rispettate

Stop ai cellulari in classe imposto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, a Padova la misura di disciplina digitale varata sembra funzionare. Tra banchi, zaini e notifiche silenziose, la prima settimana di scuola è filata liscia: nessun sequestro di smartphone, le regole vengono rispettate.

A confermarlo è Roberto Natale, provveditore provinciale agli studi, che registra un avvio di anno scolastico assolutamente ordinato: «Non mi sono arrivate segnalazioni di alcun tipo, e quindi ne ho tratto la conseguenza che tutto è filato liscio, i ragazzi si sono attenuti alle disposizioni».

Natale considera questo dato incoraggiante: «È un elemento positivo, perché vuol dire che la normativa è stata dettata in maniera molto chiara e le scuole l’hanno applicata nella loro autonomia, individuando i mezzi e le procedure più opportune e adeguate per rispondere alle nuove indicazioni. Non mi sorprende che tutto stia procedendo bene». In particolare dai riscontri che arrivano dalle classi sembra essere aumentata l’attenzione e anche l’attività di socializzazione tra ragazzi.

Ma se il fronte istituzionale vede senza clamore e con una certa positività l’applicazione del divieto, a prendere posizione duramente è Viola Carollo, coordinatrice regionale della Rete degli Studenti Medi, che non usa mezzi termini: secondo la rappresentante studentesca, la misura è più uno «spot» elettorale che una vera soluzione, «un’iniziativa che non ha un grande fondamento, anzi, è assolutamente inutile. Una delle riforme del ministro Valditara che si dimostra ancora una volta non vicina alle necessità degli studenti».

Gli effetti pratici appaiono limitati: «Gli studenti non hanno vissuto enormi cambiamenti durante le lezioni. Già prima non si usavano i cellulari costantemente e comunque le modalità cambiano da scuola a scuola: in alcuni istituti ci sono cassette o scatole dove riporli, altrove basta tenerli nello zaino. Per qualcuno cambia molto, perché i telefoni vengono ritirati, per altri nulla, perché restano in cartella. Alcune scuole hanno deciso controlli a campione, altre lasciano piena autonomia ai ragazzi».

Sul rapporto dei giovani con la tecnologia, Carollo osserva che vietare il telefono non risolve il problema: «La nostra generazione ha un rapporto simbiotico con il cellulare, questo è un dato di realtà. È vero, ci sono modi sani e non sani per viverlo ed è giusto affrontarlo. Ma vietarne l’uso a scuola non risolve il problema. I ragazzi continuano a usarlo di nascosto, esattamente come facevano prima, e la tecnologia resta una presenza costante anche durante la pausa o nelle attività extracurriculari».

Ancora: «Gli insegnanti non dovrebbero essere chiamati a vigilare sui cellulari. Hanno problemi ben più seri: precarietà, classi sovraffollate, mancanza di strumenti didattici adeguati. E invece si prova a rimettere in riga una presunta “generazione perduta”, con regole che non tengono conto del contesto reale». La prima settimana di scuola si chiude quindi con la sensazione che la riforma non sia affatto «epocale»: con qualche divieto non si argina un mondo, e la vita digitale dei ragazzi rimane invariata. 

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