«Palazzi degli sceicchi made in Vigonza»

Rima Abrami, assieme al marito, progetta e realizza case di illustri committenti. E già si prepara al cenone di Natale

Mentre lo spezzatino di cervo al cioccolato cuoce da ore dentro una pentola in pietra ollare, che concentra il sapore degli aromi, la padrona di casa prepara il brodino di gallina padovana con un goccio di Amarone della Valpolicella annata 2007; le tagliatelle al cacao col ragù d’anatra, la polenta taragna, le zucche e le cipolle dell’orto, tagliate fine fine e messe in forno; la tortina di funghi prataioli raccolti dietro casa; il Montebianco con le meringhe e la salsina di corniole del giardino e per chiudere lo zabaione da versare caldo sulle «lingue di gatto» fatte a mano; come il pane alla cipolla e alle noci appena sfornato. Stasera il tema del pranzo verterà su: «la riscoperta dei sapori antichi» e Rima parla del suo impegno nel mettere assieme ospiti che spesso non si conoscono ma coltivano passioni comuni e nello scegliere menù sempre nuovi ed omogenei nei contenuti. Si muove sicura nella cucina foderata in larice non trattato, col piano da lavoro al centro in pietra gialla reale, ad una parete tre cucine - a gas, a legna, a vapore separate da un camino - e su quella di fronte un enorme frigorifero con reparto biofresh, che rispetta l’umidità dei prodotti. Un sole di fine autunno, entrando dalle vetrate della piccola villa veneta, costruita sulla Riviera del Brenta ai primi del ‘600 per la villeggiatura d’una nobile famiglia veneziana, accarezza gli affreschi del Cerruti sulle pareti della sala centrale; scivola sui divani in pelle anticata, fabbricati dall’azienda di famiglia, la «Fabrizio Smania spa»; accende di bagliori i fili d’argento, le palline dell’albero di Natale, le decorazioni per la Grande Festa sparsi ovunque in una casa, che profuma d’intimità più che di apparenza.

Rima Abrami, ci dice qualcosa del suo nome insolito e della sua vita ?

Rima è il nome della protagonista di «Verdi dimore» di Hudson William: un romanzo letto da mio padre, professore allo Iuav di Venezia, durante un soggiorno di studio negli Usa. Sono padovana, ho 44 anni, la mia famiglia è veneziana di origine istriana, mi sono anch’io laureata allo Iuav in progettazione e restauro e nutro sin da bambina la passione dell’arredare; tanto che invece di giocare con le bambole costruivo loro delle piccole case. Nel ’99 ho conosciuto Fabrizio Smania, importante interior designer padovano che dell’azienda paterna ha conservato e sviluppato il ramo «progetti speciali» ed ho lasciato il lavoro di restauro per dedicarmi interamente agli interni. Col tempo ho condiviso con lui professione e vita. Anche questa casa è frutto della nostra collaborazione creativa: prima di venderla, la nobile famiglia proprietaria vi manteneva dentro qualche centinaio di cani, che hanno danneggiato per sempre la base degli affreschi obbligandoci a restauri assai impegnativi. Anche l’arredo è nostro, l’abbiamo pensato, raccolto e talvolta creato pezzo per pezzo: come questo lampadario, interamente messo assieme da due vetrai muranesi secondo le mie indicazioni, utilizzando i pezzi di ricambio da loro acquistati nelle fabbriche dell’isola dai maestri vetrai, che li accantonavano ogni qualvolta davano vita ad un modello unico.

In che cosa consiste per l’esattezza il vostro lavoro?

Il lavoro di Fabrizio e mio consiste nel progettare e realizzare case di illustri committenti in ogni parte del mondo: palazzi di sceicchi nel deserto, ville di montagna, piani della Trump Tower di N.Y. per un tycoon giapponese, castelli, una golf house a Tokyo, attici a Mosca, a Parigi, a Tunisi. Opere, appunto, «strettamente personali», che richiedono l’impegno di centinaia di artigiani specializzati nella propria materia; in grado di realizzare anche complementi d’arredo quali biancheria per la casa, tessuti, posate, piatti, bicchieri, oggetti particolari e di straordinaria bellezza. Per dar modo ai clienti di conoscerli e selezionare quelli più graditi, abbiamo dato vita a Vigonza ad uno show- room aperto anche al pubblico. Sa la cosa più interessante? Non di rado sono gli arabi stessi, i miliardari internazionali a chiederci quella cosa lì», «quell’indirizzo speciale» a noi sconosciuto. Le meraviglie del «made in Italy», identificate tramite Internet, rimangono l’oggetto del desiderio d’una quota privilegiata di persone, che hanno le capacità economiche di assicurarsele come i principi rinascimentali del passato. A Murano un artigiano ottantenne, tenendo con la sinistra un bicchiere finemente inciso di un servizio di Montecitorio, è in grado con una punta di diamante di copiarne il decoro- così, a vista, su uno liscio che tiene nella mano destra… un mestiere pagatissimo, che sta morendo per mancanza di ricambio generazionale. A Mestre due artigiani dell’argento rifanno ex novo il «corredo» ad ogni nuovo papa che sale al soglio di Pietro e si tratta di oggetti di bellezza e valore eccezionali; a Cerea un fabbro che lavora il ferro col mallo non sa come evadere la mole di lavoro richiestagli «perché non ho nessuno che mi aiuta». Penso al merletto di Burano, praticamente scomparso perché non vi sono più ricamatrici e ai tessuti d’una notissima fabbrica veneziana, che tesse al telaio per i miliardari dell’Est capolavori a 2000 euro al metro, che non saranno pronti prima del 2013 . Da noi «arti e mestieri» languono perché i giovani li ignorano, mentre ancora si cerca di salvare aziende, che in un contesto globale non possono competere per l’alto costo del lavoro. All’artigianato non mancano né clienti né know- how, ma forza-lavoro. A posare marmo, legno, piastrelle sono piccole aziende di rumeni, che mandano in patria i loro guadagni; mentre a creare e ad accrescere ricchezza dovrebbero essere i nostri, in tempi di crisi come quello che stiamo attraversando. La colpa è spesso di genitori, che vogliono il figlio “con la laurea ad ogni costo” ; salvo poi ritrovarselo a spasso per anni… Purtroppo l’Italia non ha fatto alcuna programmazione al riguardo.

Torniamo alla tavola e al menu di Natale. Come li ha pensati quest’anno ?

Noi festeggiamo la sera dell’anti-vigilia in modo tradizionale. Sulla tavola distendo una tovaglia apposita in lino pesante con ricami in oro, da cui traspare una sottotovaglia in seta cruda color rosso natalizio. I sottopiatti sono di vetro trasparenti per poter ammirare il sotto importante ed i piatti un classico servizio Richard Ginori con lo stemma nobiliare della famiglia un tempo proprietaria della villa; quanto ai bicchieri - sei calici per commensale per acqua e vini diversi - ne ho fatta copiare a Murano la forma prendendola da una natura morta appesa in sala da pranzo. Pranziamo alla luce delle candele di due grandi candelieri d’argento, con in mezzo un centrotavola di frutta fresca e secca.

Possiamo rubarle quello del 23 Dicembre 2011?

Eccolo qua, già pronto. Come antipasti, agnolotti pasta sfoglia al prosciutto su letto di formaggi, involtini primavera in versione invernale accompagnati da salsa al mirtillo rosso. Per primi, zuppa di cipolle alla moda francese, tagliatelle al cacao con ragù d’anatra. Secondi : polpettine di pollo con paté e fonduta verde, cotechino in crosta con barbabietola e cavolo rosso. Infine i dolci: gelato al cardamomo in coppette di panettone, pandoro con zabaione ricetta speciale di Fabrizio.

Adina Agugiaro

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