Palazzo Gradenigo, vent’anni di abbandono Mille firme di sdegno e protesta al Ministero
Il primo a indignarsi sarebbe anche il primo che l’ha voluto e abitato: Girolamo Gradenigo, membro di uno dei più autorevoli casati veneziani che ha dato tre dogi alla Serenissima, e che tra le altre ed alte cariche rivestite ha ricoperto quelle di procuratore di San Marco, Capitano a Padova, riformatore dell’università patavina.
Indignato nell’assistere alla vergognosa incuria, frutto di oltre vent’anni di intollerabile degrado, in cui versa oggi l’omonimo palazzo da lui fatto realizzare nella seconda metà del Seicento a Piove di Sacco, nell’allora contrada Pozzobon, sulla base di una precedente proprietà, per farne luogo di villeggiatura ma anche centro di gestione della produzione agricola dei vasti possedimenti acquisiti dalla famiglia nella Saccisica.
A questa autentica devastazione continua con encomiabile impegno ad opporsi l’Associazione Amici del Gradenigo: ultimo atto della lunga battaglia, un documento congiunto con la locale sezione di Legambiente, spedito al Ministero dei Beni culturali, alle due Sovrintendenze, al Nucleo tutela beni culturali dei carabinieri, al presidente della Regione e al sindaco: per ricostruire le tappe della vicenda, e sollecitare una convenzione con la proprietà che consenta quanto meno l’apertura del palazzo alle visite (che i volontari dell’associazione sono disposti a gestire).
In mancanza di questo, si chiede «la restituzione da parte della proprietà di tutti i finanziamenti pubblici impiegati per la tutela del palazzo, e non solo quelli dell’ultimo cantiere». Cifre importanti, superiori al milione di euro. Quanto il complesso Gradenigo sia nel cuore dei piovesi, lo dimostra il fatto che in soli quattro giorni l’appello ha raccolto oltre mille firme.
Spiega il presidente dell’associazione Mario Miotto: «Venticinque anni fa, il palazzo rischiava di crollare in testa all’allora proprietario. Grazie anche alla nostra mobilitazione, nel giro di due anni è stato posto in sicurezza, ed in accordo con la Sovrintendenza è stato impostato un progetto di percorsi di visita sia pur minimali. Ma l’ex proprietario non ha più voluto ottemperare agli obblighi, e dal 2003 l’edificio è chiuso». Per la popolazione, ma non per il pesantissimo degrado che l’ha ridotto in miserando stato, incluso lo splendido giardino a suo tempo realizzato dai Gradenigo, oggi ridotto a una sorta di giungla impraticabile, sulla quale da anni non è mai stata messa mano.
C’è di peggio, denuncia Miotto: «L’attuale proprietario (il complesso nel frattempo è passato di mano attraverso un’aspra contesa ereditaria, ndr) sta letteralmente saccheggiando il palazzo. Dal quale ha portato via tre camion carichi di mobili, libri antichi, perfino statue. Purtroppo, si sta ripetendo lo stesso percorso conosciuto durante la Seconda guerra mondiale da un altro gioiello di Piove, palazzo Priuli; solo che quello per fortuna si è riusciti a salvarlo. A maggior ragione lo meriterebbe il Gradenigo, che rappresenta la massima villa veneta dell’intera Bassa padovana, dotata tra l’altro di duemila metri quadri di affreschi».
La lunga decadenza del complesso inizia già ai primi dell’Ottocento, con l’arrivo dei francesi e le loro prime ruberie. A fine secolo ne diventa erede la famiglia Radini Tedeschi, che per ovviare ai costi di manutenzione lo fraziona, cedendone parti in affitto sia per abitazione che per laboratorio. L’ultimo suo membro, il conte Alberto, vi abita fino al 2002, in totale solitudine e incuria, mentre gli interni vanno letteralmente cadendo a pezzi. Un degrado che fin dal 1996 ha dato origine a un’ampia mobilitazione spontanea da parte della popolazione, sfociata due anni dopo nella nascita dell’Associazione Amici del Gradenigo: con il significativo risultato di ottenere da Regione e Sovrintendenza finanziamenti per 850 mila euro, cifra cui se ne sono poi aggiunti altri 180 mila, e con la quale sono stati realizzati importanti lavori, nella speranza di poter restituire il complesso almeno alle visite dei piovesi.
Speranza delusa: dal 2003 il palazzo è rigorosamente chiuso, e neppure le pressioni sul Comune hanno dato esito: gli accordi di volta in volta raggiunti sono rimasti lettera morta. Conclude Miotto: «Eppure nel frattempo il valore del complesso, valutato quindici anni fa in 6 milioni e mezzo di euro, è letteralmente crollato. Possibile che non si riesca a varare un investimento pubblico per acquisirlo e restituire alla comunità un patrimonio cui i piovesi sono da sempre legati?». —
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