Palladio nell’America di Jefferson

di Silvia Ferrari
«Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità».
Fu Thomas Jefferson a tracciare le linee guida della nuova nazione americana. Lo fece con la Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776, un concentrato dei diritti alla base delle democrazie moderne. Lo fece anche attraverso la progettazione architettonica, convinto nel profondo che alle forme corrispondono le idee, che con un’architettura ben fatta ci sarebbero stati cittadini migliori e che l’architettura avrebbe potuto trasformare dei sudditi in cittadini. Progettò un mondo che ancora non esisteva, ponendo al centro della riflessione e dell’azione la razionalità e la bellezza, perché, dal suo punto di vista, infondere il gusto del bello tra i suoi concittadini avrebbe creato una grande nazione e suscitato l’ammirazione del mondo.
L’architetto vicentino Andrea Palladio ebbe un ruolo determinante nel creare le basi del pensiero di Jefferson. Al punto che il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza ha voluto omaggiare questa relazione di pensiero con una mostra intitolata “Thomas Jefferson e Palladio. Come costruire un nuovo mondo”, visitabile fino al 28 marzo 2016 al Palladio Museum. La mostra è a cura di Guido Beltramini e Fulvio Lenzo, sostenuti da un consiglio scientifico presieduto da Howard Burns (Scuola Normale Superiore di Pisa) e di cui fanno parte James Ackerman (Harvard University), Bruce Boucher (University of Virginia), Travis C. McDonald (Corporation for Jefferson’s Poplar Forest), Damiana Paternò (IUAV Venezia), Mario Piana (IUAV Venezia), Craig Reynolds (University of Virginia).
Frutto di un lavoro di anni, di sopralluoghi in Virginia e di una lunga campagna fotografica di Filippo Romano, la mostra porta in luce il mondo di Jefferson, le sue collezioni d’arte, i suoi progetti di architettura, i suoi sogni ma anche le sue contraddizioni: attraverso disegni, sculture, libri preziosi, modelli di architetture, video e multimedia racconta il rapporto profondo e intrecciato tra il terzo presidente degli Stati Uniti e il grande architetto del Cinquecento.
Per Jefferson Palladio era “the Bible”. Chiamò la propria villa Monticello perché nei Quattro Libri di Palladio aveva letto che la Rotonda sorgeva su “un monticello”. Per la Casa Bianca, Jefferson avrebbe voluto una copia ingrandita della Rotonda. Palladio per Jefferson era colui che aveva saputo tradurre la grande architettura romana antica per gli usi del mondo moderno.
«L’idea che un’architettura pensata, razionale e bella possa creare cittadini migliori è quasi commovente» racconta Guido Beltramini, curatore della mostra. «Dovevano costruire l’America e l’architettura per Jefferson poteva essere una chiave di volta. Dovrebbe essere così anche oggi: l’architettura dovrebbe migliorare la vita delle persone, anche se oggi, soprattutto in Veneto, avviene troppo raramente».
Una mostra che racconta un uomo e la nascita di un mondo senza dimenticarsi delle sue contraddizioni, di quel sistema schiavistico che ancora esisteva, di cui lo stesso Jefferson nella vita privata faceva parte e che di fatto limitava l’acquisizione dei diritti fondamentali enunciati nella Dichiarazione solo a una parte dell’umanità e ne escludeva radicalmente un’altra.
All’interno della mostra sono esposti anche i tre preziosi bozzetti originali di Antonio Canova per la statua di George Washington commissionata dallo stesso Thomas Jefferson.
La mostra è dedicata alla memoria di Mario Valmarana, professore alla University of Virginia, che dedicò una vita a creare ponti fra il Veneto di Palladio e la Virginia di Jefferson.
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