«Parlare e ascoltare: una condivisione che ci rende migliori»

Roberto Vecchioni, che effetto fa l'incontro con il pubblico che ascolta “le parole”? La manifestazione di Padova attira migliaia di persone che vogliono “ascoltare”: c’è da essere ottimisti, allora?
«Io sono sempre stato ottimista per quanto riguarda l’ascolto della parola, della parola artistica, culturale. Manifestazioni come quella di Padova, che è una tra le più belle, si moltiplicano sempre più. Significa che c’è un aumento di interesse e di affezione delle persone. La parola è importantissima perché non è solo comunicazione, è anche evocazione e dà emozioni. E potersi riunire in nome di una parola che dà emozioni, impararla, corrisponderla agli altri significa non soltanto migliorare come Paese, come popolo ma soprattutto migliorare se stessi munendosi di un’arma di difesa contro le avversità, il male, il dolore, i dispiaceri. La parola è magica, la parola ci può aiutare e consolare moltissimo. È molto bello poter parlare alla gente perché sai che chi è lì davanti a occhi aperti, a orecchie aperte ti ascolterà, non è lì casualmente e ti ricambierà per quello che dirai».
Impossibile non citare la sua candidatura al Premio Nobel: orgoglio o timore?
«Non sono preoccupato, anzi, sono orgoglioso. Anche se so benissimo che è un’altezza alla quale si respira a fatica, e so benissimo che sarà molto improbabile se non impossibile che sia io ad averlo. Ma sono orgoglioso per tutta la canzone d’autore italiana che è una forma di poesia diversa ma ugualmente importante come la poesia scritta».
Chi sono i Nobel morali del nostro tempo?
«Le persone, le associazioni e organizzazioni che lavorano tutti i giorni per la pace, per i diritti umani, tra mille difficoltà. Penso a chi fa fronte a situazioni come quella di Lampedusa».
Struggenti, profonde, indimenticabili all'orecchio e al cuore: le sue canzoni danno i brividi. Quale alchimia lega parole e musica?
«Le parole vengono dai brividi. Certe metafore, certe situazioni che provo, certe allegorie le sperimento subito su me stesso: devono farmi posare la penna sul tavolo, farmi venire le lacrime agli occhi. Altrimenti non va bene. Le parole che non emozionano non mi piacciono. Nel tempo ho cambiato molte volte il modo di scrivere le mie canzoni. In “Io non appartengo più” per esempio ho scritto prima tutte le musiche e poi, sapendo il tema che avrei trattato in ciascuna, ci ho scritto su le parole facendolo nei posti più impensati, spesso in macchina o negli autogrill o all’aeroporto mentre aspettavo di imbarcarmi. Un lavoro fatto di pensieri che mi arrivavano e che coglievo nell’attimo in cui li sentivo arrivare. Sono molto contento del risultato. Non so se è il disco più bello della mia vita, ma è l’unico disco in cui ho detto tutto quello che volevo dire».
Il suo rapporto con Padova, con la Fiera delle parole.
«Padova è una città che mi piace perché ha la cultura nel suo dna. . A questa manifestazione mi lega una lunga amicizia con Bruna Coscia che la cura con grande passione e so che è un appuntamento che non posso e non voglio mancare. È così dalla prima edizione. La Fiera delle Parole ha preso ormai una dimensione importante, nazionale. Gli intellettuali italiani vengono volentieri a parlare qui perché è una manifestazione non presuntuosa e che rimane tra le righe di quello che deve essere la cultura. L’intellettuale deve comunicare come dovrebbero essere gli uomini, come dovrebbe essere la vita e far riflettere. Alla Fiera delle Parole ogni anno si danno centinaia e centinaia di spunti in questo senso».
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