Patenti facili e test alterati a Padova, in cinque verso il processo

PADOVA. Chiusa l’inchiesta sui presunti test alterati a Medicina legale. Il pubblico ministero padovano Silvia Golin ha concluso gli accertamenti, atto preliminare alla richiesta di rinvio a giudizio per concorso in abuso d’ufficio (tre gli episodi contestati) e in falso ideologico (per un episodio consumato, per un altro tentato). Rischiano il processo in cinque: il professor Massimo Montisci docente all’Università di Padova e direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina legale; il chimico Emanuele Nalesso, dirigente dell’Azienda ospedaliera e (all’epoca dei fatti) responsabile della gestione qualità del laboratorio di Medicina legale; con gli automobilisti Rocco Sbirziola di Abano Terme, esponente di una nota famiglia di albergatori; Edoardo Urschitz di Selvazzano, titolare di un’agenzia infortunistica; e Michele Casadio, un operaio di Padova.
Automobilisti che, stando alle accuse, avrebbero usufruito di una corsia preferenziale nel sottoporsi alle analisi indispensabili per riottenere dalla commissione patenti il documento di guida, dopo essere stati fermati durante un controllo stradale, il primo positivo all’alcol (poi risultato anche positivo alla cocaina), gli altri alla cocaina.
Il meccanismo
Complessi sono i protocolli che, dagli anni ’90, sono stati concordati fra la Medicina legale e la Commissione per far riottenere la patente a chi viene sospesa a causa di una dipendenza (droga o alcol). Oppure a chi, pur negativo dopo il primo controllo in seguito a sospensione della patente, è riammesso alla guida con un obbligo di eseguire una nuova analisi a sei mesi o a un anno di distanza per la riconferma (o meno) del documento per stare al volante.
La procedura prevede un test sui capelli trasmesso all’organismo sanitario (la commissione) che deve valutare le condizioni psicofisiche dell’automobilista. Secondo quanto emerso dagli accertamenti della procura i prelievi sarebbero stati “concordati” e i campioni prelevati al conducente trattati nel macchinario che esegue le analisi sui soggetti morti e non in quello utilizzato per i vivi (il test sui vivi, per avere valore legale, oltre allo screening, richiede una seconda valutazione di conferma).
Le accuse
Solo di fronte al test negativo sarebbe stato fissato l’appuntamento in commissione patenti. Da qui la contestazione dell’abuso d’ufficio per Montisci e Nalesso, in un caso in concorso con Sbirziola, in un altro con Urschitz e nell’ultimo con Casadio. Sempre la procura sostiene che i primi due avevano diretta conoscenza con il professor Montisci, il terzo sarebbe stato messo in contatto attraverso un docente universitario in rapporti con la famiglia Casadio.
E il falso ideologico? Si sarebbe concretato quando è stato firmato dalla biologa il referto che confermava la negatività del test su Sbirziola. Per quanto riguarda Urschitz, la stessa biologa si era ricordata che l’uomo assumeva su indicazione medica farmaci con benzodiazepine, sostanze che avrebbero dovuto risultare, mentre non ce ne sarebbe stata traccia. Da quel dato ritenuto “mancante”, il sospetto e l’esposto trasmesso da lei e altre due dipendenti dell’istituto alla magistratura che, nel luglio 2018, ha dato il via all’indagine. Sono state stralciate le posizioni degli altri due indagati, il medico legale Fabio Fenato e la specializzanda Arianna Giorgetti: si profila l’archiviazione. —
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