Perché il santo laico non sarà mai santo

PADOVA. Si può essere santi e non credenti? Un interrogativo lacerante che svela mentre nasconde il mistero della santità. Una riflessione che non lascia scampo. Che ieri mattina ha messo a confronto, nel Santuario di San Leopoldo a Padova, Monsignor José Rodrigez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e Massimo Cacciari, filosofo. L’occasione per affrontare il tema della santità è stata offerta dalla figura di padre Leopoldo Mandic, il confessore di Padova che trent’anni fa, il 16 ottobre 1983, veniva dichiarato “santo” da papa Giovanni Paolo II. Il cappuccino amato dal popolo è stato anche uno dei più efficaci “operai” dell’unità, ossessionato dall’impellente e bruciante bisogno di vedere nell’anima di chiunque entrasse nella sua cella il suo «oriente», l’altra parte del mondo. «Togliamo il velo della riservatezza di padre Leopoldo», ha esordito padre Flavio Tessari, mediatore della giornata di studi, «Con il Concilio Vaticano II e con Giovanni Paolo II si è aperta la strada a santi laici, coppie, giovani donne, imprenditori, testimonianza della chiesa che cambia».
Ma che cos’è la santità? «Oggi non è facile parlare di santità all’uomo contemporaneo in modo convincente», spiega monsignor Carballo, «perché siamo immersi nella cultura della mediocrità, del decaffeinato che non serve a niente». L’etimologia della parola “santo” deriva dal latino “sànctus”, participio passato di “sancire”, prescrivere per legge. Da qui deriva “sàncus, sàcer”, ovvero “sacro”: riconosciuto come sacro perché osserva i comandamenti di Dio. «Santo è colui che vive in conformità con il volere di Cristo», esplicita monsignor Carballo. «Quello che manca ora è introdurre la dimensione salvifica che è illimitata capacità di amare e perdonare: il santo è forza e fortezza per chi si rifugia in lui e redime il suo popolo perdonando misericordiosamente.
Arriviamo ad una concezione comunitaria, di fratellanza, non più individuale». Guai a pensare che basti il mero esercizio dei precetti perché è santo chi sa trasmettere «il sorriso di Dio tra gli uomini». I religiosi non ne hanno la proprietà privata. Le caratteristiche della santità valgono per tutti: «concretezza, compassione, compromissione ed esposizione perché la vita vale la pena d’essere vissuta nella realtà, con partecipazione, compromettendosi ed esponendo con chiarezza il messaggio di Dio». È questa la visione giudaico-cristiana, dove «il santo ha bisogno di un’autorità che lo riconosca». Inizia da qui l’intervento filosofico di Cacciari. Che introduce un’altra santità, quella laica. La salita è ora gravosa, la fatica tanta, ma c’è un ultimo passo da compiere, chiedersi se esista una santità laica. «Sì», risponde Cacciari, «Kant ne parla: è la volontà che si conforma all’imperativo morale senza alcun comando. La cui obbedienza è qualcosa di naturale, che viene da sé, senza maestri e comandi: mi adeguo all’imperativo morale naturalmente. La santità diviene il fine dell’umanità, un’idea finale che dovrebbe reggere tutto il nostro agire, un fine che postula un progresso infinito. Un’idea che tanto farà arrabbiare Hegel, per il quale se c’è un dovere, ebbene va realizzato, altrimenti è un cattivo dovere, altrimenti mi rende, come uomo, impotente e infine condannato alla continua infelicità». E se fosse proprio questo il “bello”? «Nella visione Kantiana – spiega Cacciari - si elimina l’escatologia giudaico cristiana perché non c’è più un fine da raggiungere nell’immanenza, si va avanti all’infinito. Si esclude la possibilità di una vita santa: qui ed ora (parafrasando Platone) siamo un gregge che deve essere condotto al pascolo da qualcuno». Ed ecco il gran finale di Cacciari: «la vera differenza con il cristiano è che, quest’ultimo, sposta l’imperativo morale verso la libertà: i santi nella concretezza del tempo possono essere liberi qui e ora: liberandosi di tutto, senza sacrificio, senza rinuncia, proprio come fa Francesco che danza liberandosi delle cose terrene. Lo stesso dramma della santità ci indica nell’immanenza del qui ed ora che puoi essere libero. Questa caratteristica non è data nella visione laica dove il progresso non si esaurisce mai perchè il fine ultimo non è realizzabile, è solo un'ambiziosa idea alla quale l’uomo, per sua natura imperfetto, può anelare senza raggiungerla». E dunque un non credente non può essere santo.
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