Pescato alle chiuse di Voltabarozzo un siluro di 50 chili

Il pesce di un metro e settanta è stato preso da un rumeno «Sono contento perché noi li mangiamo e sono buoni»

VOLTABAROZZO. Quando ha visto emergere quell’enorme pesce da un metro e settanta centimetri per una cinquantina di chili d’abbondanza, il signor Nan Marcel Vasile più che sorpreso deve essersi sfregato le mani dalla contentezza, immaginando una luculliana grigliata. Di origini rumene infatti il fortunato pescatore conosce bene la carne di siluro che i veneti stentano a mangiare, ma l’Europa dell’est cucina abitualmente. Il grande pesce è stato catturato vicino alle chiuse di Voltabarozzo, nel canale Scaricatore. È questo è già più singolare. Almeno secondo i pescatori esperti dell’Associazione pesca sportiva. «Sono i primi in quella zona», riferisce Francesco Grollo, presidente dell'Apseas, «è difficile stabilire come abbia raggiunto le chiuse. Può essere che durante le inondazioni abbia seguito strani giri. Li conosciamo benissimo, superano anche i due metri di lunghezza, non li mangiamo ed anzi cerchiamo di eliminarli perché sono un vero e proprio disastro per le specie autoctone come carpe e tinche. Sono arrivati dall’Est Europa, importati con altri pesci, a metà degli anni Cinquanta, colonizzando il Po. Non si riesce a sradicarli ma è un pesce devastante che divora tutto quello che incontra».

Tanto che gli sportivi dell’Apseas, che contano tremila tesserati a Padova e 30 mila in tutto il Veneto, una volta all’anno cercano di selezionarli con lo “storditore”: «dalla barca», spiega Grollo, «emaniamo un flusso che spinge a galla i pesci, prendiamo i siluri e gli altri pesci non indigeni e lasciamo tornare in acqua, sani e salvi, quelli del posto. Ancora non siamo intervenuti perché le prime gare iniziano a giugno».

Eppure numerose comunità straniere mangiano il siluro. E, a sentire i bene informati, a volte si trovano anche nei ristoranti cinesi. «Ognuno può fare quello che vuole», aggiunge Grollo, «quello che sappiamo, da conoscitori del territorio, è che si tratta di un pesce che fa più danni che bene, tant’è vero che c’è stata anche una direttiva europea che stabilisce nei fiumi debbano vivere solo specie indigene, dunque, da noi, carpe e tinche. Poi la Regione ha presentato ricorso per immettere in acqua anche delle trote sterili. Allora scoprimmo che le tinche esistono nelle nostre acque fin dall’epoca dei romani, non possiamo permettere certo al siluro di sterminarle. Per noi è importante mantenere un equilibrio ittico: quando peschiamo non portiamo via i pesci, li ributtiamo in acqua».

Elvira Scigliano

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