«Pfas, noi medici di base lasciati soli»

La testimonianza di un sanitario ieri al convegno: «Cerco io di sensibilizzare i ragazzi a sottoporsi ai controlli»

MONTAGNANA. Fare il medico di base al tempo dei Pfas e nelle terre dei Pfas non è semplice. Lo sa bene Elisa Dalla Benetta, medico di base a Zimella (Vicenza), uno dei Comuni della cosiddetta “area rossa A”, lo spazio maggiormente soggetto alla contaminazione da perfluoroalchilici e quindi nel cuore dell’emergenza e del monitoraggio. Scarsa informazione da parte degli enti superiori, falle nell’organizzazione dei piani di controllo, diffidenze e timori degli assistiti: sono solo alcuni dei numerosi punti evidenziati ieri dalla dottoressa nel corso del convegno “Pfas Info”, organizzato dalle Mamme No Pfas a Montagnana e dedicato in particolare a medici e pediatri del territorio.

«In Australia, dove si è verificata una simile emergenza legata ai Pfas, i medici di base hanno ricevuto in poco tempo un prontuario con tutte le possibili risposte da dare ai cittadini» ha spiegato il medico «Qui, per molto tempo, noi medici ci siamo dovuti documentare da soli per non farci trovare impreparati alle domande che erano sempre più numerose man mano che il fenomeno emergeva». E anche quando è scattato il piano di sorveglianza sanitaria non tutto è andato al meglio: «Un esempio? I quindicenni e i sedicenni sono stati effettivamente sottoposti ai test di controllo, ma già con le età successive si nota qualche falla. Chiedo spesso ai miei diciottenni se sono stati contattati dall’autorità sanitaria e moltissimi rispondono di no. Non è un caso, dunque, che report su report la percentuale di adesione al monitoraggio rispetto ai pazienti inclusi nel piano di controllo scenda costantemente (oggi è al 49,8%, ndr). Colpa della popolazione non sensibile o delle mancate chiamate? (È effettivamente stato contattato solo il 29,1% degli aventi diritto, ndr)».

La Dalla Benetta avrebbe anche una soluzione: «Noi medici di base ogni anno riceviamo le liste dei pazienti che non si sono sottoposti agli screening al colon e alle mammelle. Ci invitano a contattare chi non ha partecipato al controllo. Perché non si fa lo stesso con chi non ha ricevuto contatto per la campagna Pfas o non vi ha aderito?» Aggiunge il medico: «Personalmente conosco le coorti dei miei pazienti e li contatto personalmente, ma è giusto che debba farlo io – nei ritagli di tempo o di notte – e non un ente che è pagato per farlo?».

Ma i paradossi sono ancora molti altri: «Prendiamo ad esempio i cittadini che si sono trasferiti e sono usciti dall’area rossa. La normativa prevede che anche questi abbiano diritto a rientrare nel piano di controllo. Eppure non ricevono alcuna comunicazione, perché hanno cambiato residenza. Chi deve contattarli? Noi medici? Anche se nessuno ci dice di farlo? ».

L’osservatorio speciale del medico di base si spinge ben più in là, raccogliendo anche i timori degli assistiti: «Accanto a chi lavora per denunciare quanto sta avvenendo, come ad esempio le Mamme No Pfas, esistono cittadini preoccupati dall’attenzione a questo fenomeno. Chi coltiva i cereali per Veronesi o chi produce la carne per Amadori, ad esempio, teme che pubblicizzare la presenza di Pfas in alimenti e prodotti del territorio possa far venire meno la fiducia dei colossi per cui lavorano, facendo perdere così importanti commesse». E a proposito di cibo contaminato: «Il pesce pescato nei nostri fiumi non può essere consumato: lo dice il Ministero. Eppure, vedete cartelli appesi lungo i nostri corsi d’acqua che annunciano questo divieto? ». Insomma, per quanto la Regione si sia data fare in questo ultimo anno, la macchina organizzativa va seriamente perfezionata. E i medici di base sono unità fondamentali di questo ingranaggio.

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