Quella pagella cucita nella tasca del piccolo migrante affogato

Aveva 14 anni, arrivava dopo chissà che spaventoso viaggio, dal Mali. È uno dei 40mila morti affogati, dal 2000 ad oggi, che hanno trasformato il Mediterraneo in uno sconvolgente cimitero.
Dall’altra parte c’è la fortezza Europa, un’Europa blindata, un’Italia soddisfatta dei respingimenti. Non ne arrivano più, li rispediamo in Libia, tutti contenti. In Libia dove sono torture, stupri, violenze e basta avere il coraggio di farselo raccontare da uno dei tanti profughi che ci sono passati. Magari basta solo vedere le cicatrici.
Lui, con i suoi 14 anni. Solo uno. Uno per tutti. Un ragazzino che cucita in una tasca si è portato via da casa un’unica cosa: la pagella di scuola. Era la sua carta d’identità, il suo passaporto, il suo curriculum, la sua presentazione al mondo. Quel foglio ben piegato accompagnava il sogno di trovare un’altra vita, migliore, scortava la più grande delle avventure. Un ultimo urlo nero e silenzioso d’acqua gelida ha inghiottito la vita di quel ragazzino con la sua pagella cucita addosso.
La parola strazio non basta a descrivere un simile dettaglio che racconta il dramma umano e universale di chi ne è vittima e di chi fa finta di niente. E vicino al bambino con la pagella c’è la ragazza etiope che nel giubbetto leggero portava cucito un sacchettino con dentro della terra: la terra di casa sua; o del bambino che, anche lui ben cucito nell’angolo di una tasca, aveva un compito di matematica. Con quello si sarebbe presentato al nuovo mondo. Io sono un bambino bravo, ho studiato e voglio studiare, riuscirò a farcela.
Non è riuscito nemmeno lui, non ci è riuscito il suo compito di matematica che assieme alla pagella e al sacchettino di terra sono finiti sui tavoli metallici del laboratorio dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, medico legale e autrice del libro “Naufraghi senza volto”. Lei si è incaponita a cercare di dare un’identità alle migliaia di migranti vittime nel Mediterraneo: docente di medicina legale all’Università di Milano e direttrice del Laboratorio di antropologia e odontologia forense, ha preso su di sé come una missione il compito di identificare quanto più possibile quei corpi.
Cadaveri, a volte solo ossa, vestiti, oggetti. Il tutto scrupolosamente censito e archiviato è andato a comporre un gigantesco database dove attingere informazioni su quei morti che pesano come il piombo. «Il corpo di un migrante deve avere la stessa dignità del corpo di chiunque altro» spiega Cristina Cattaneo “Naufraghi senza volto” parla di una grave violazione dei diritti umani che sta avvenendo sotto i nostri occhi, per la quale nessuno fa niente».
Grazie al data base molti parenti delle vittime sono riusciti a sapere con certezza che del loro figlio o parente si trattava. Come quell’uomo etiope che ha riconosciuto la sorella da alcuni oggetti e, dichiarandone la morte, ha potuto adottarne il figlio rimasto orfano. —
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