Quello che resta della vita nei luoghi dell’abbandono

di Silvia Zanardi
Un bicchiere può fare paura. Se da un giorno all’altro si chiude la porta di un albergo con tracce di vita ancora calde sui letti, dentro i bagni, nelle piscine o al bancone del bar, riaprire quella porta dopo anni di gelo, polvere, ragni e indifferenza mette i brividi. Si trema di fronte a una poltrona sporca e vuota che conserva il suo stile retrò nella sala del parrucchiere dove, un tempo, il profumo di lacca si mescolava al chiacchiericcio delle signore. La vita “che fu” è ovunque, in Italia. Basta addentrarsi nei vicoli più solitari delle città e nel cuore dei paesi più sperduti per fare la conta delle case, delle ville, degli ex ospedali, discoteche, fabbriche, scuole e colonie lasciate in compagnia dei topi e delle piante rampicanti per capire che con il termine “abbandonologia” si dà il nome agli scheletri nell’armadio di un luogo in cui il passato non passa.
Questi “scheletri” sono migliaia e un fotografo professionista vicentino, Devis Vezzaro, ha fatto dell’abbandonologia la sua passione. Quando non lavora su commissione, prende la macchina fotografica e gira l’Italia alla ricerca di case ed edifici dismessi di cui tutti sembrano essersi dimenticati. Tutti tranne chi, in questi luoghi oggi lugubri, ha vissuto o lavorato e chi, dando ascolto a leggende e dicerie, è convinto che siano abitati da fantasmi.
I reportage di Vezzaro sono pubblicati sulla pagina Facebook “I luoghi dell’abbandono”, che in 150 album spalanca le porte di abitazioni, magazzini, uffici, cliniche, ospedali psichiatrici, hotel chiusi da decenni (diversi sono sparsi nelle Terme di Abano e Montegrotto), dove la coltre del tempo si è posata sui segni di un presente interrotto. Vezzaro entra in locali sotto sequestro, in vecchie cliniche, case abbandonate e ville, come la famosa Villa De Vecchi nella Valsassina (Lecco), dove la carcassa di un pianoforte a coda giace al centro di un salone imbrattato dai vandali. Si dice di tutto su questa villa: che sia stato teatro di un omicidio suicidio, che il suo degrado sia stato inevitabile dopo la morte dei proprietari e l’affido ai custodi, che di notte quel pianoforte suoni ancora.
La pagina Facebook di Devis Vezzaro ha solo un anno di vita e quasi ventimila fan e, da poco, si è concretizzata in un’associazione culturale che organizza escursioni per fotografi e curiosi di questi luoghi. «Mi muovo nel rispetto delle leggi e mi fermo dove so di non poter andare» assicura Vezzaro. «Ho avviato questo progetto dopo essermi trovato, per caso, a Consonno, il paese fantasma in provincia di Lecco. Qui, negli anni Sessanta, il conte Mario Bagno voleva costruire una città dei balocchi, con un centro commerciale e un parco divertimenti. Gli abitanti furono mandati via, vennero costruiti alcuni edifici ma i lavori non furono mai ultimati».
Dopo quella prima esperienza, Devis Vezzaro ha iniziato a dedicare i suoi weekend alle terre di nessuno. Al Lido di Venezia, è stato all’Ee Ospedale al Mare dove, in giardino, ci sono schiere di lettini per prendere il sole e, nelle sale, macchinari per la dialisi con uno sfondo di graffiti. Ha esplorato, a suo rischio e pericolo, i locali adiacenti l'ex macello di Padova, abitati da un numero indecifrabile di senzatetto e disperati che sopravvivono respirando l’odore dello sporco, dell’incuria, dell’abbandono in tutti i sensi.
«Nelle nostre città ci sono i resti di un’Italia che non esiste più, di una vita dimenticata. Sono andato nell’ex Lanificio Lanerossi, a Dueville di Vicenza), con mio padre: ci aveva lavorato da quando aveva 14 anni».
Su Facebook lo contattano ogni giorno molte persone per segnalare nuovi luoghi da fotografare o per partecipare alle escursioni del sabato: «M seguono molti fotoamatori, interessati all’archeologia industriale, così come persone di una certa età che vogliono rivivere ricordi di un lavoro o di una vita lontana. "Mi segue anche chi prova rabbia per il nostro governo, indifferente di fronte alla decadenza, e chi crede nei fantasmi e nelle leggende».
Non ha mai avuto paura di entrare in un luogo “infestato”, nemmeno all’ex ospedale psichiatrico infantile di Aguscello (Ferrara), dove si dice che di notte la giostrina si muova misteriosamente, e in case vuote e decadenti utilizzate per i riti satanici.
«Solo una volta ho deciso di mettere giù l’obbiettivo. All’ex psichiatrico di Granzette, Rovigo,: ho fotografato quasi tutto. Ma nella stanza dove praticavano l’elettroshock mi sono fermato. Mi sembrava di sentir risuonare le urla di quei poveretti e ho lasciato perdere, per rispetto».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova